Westworld 1x06 - The Adversary
La sesta puntata della serie HBO continua la transizione verso il finale di stagione, mentre elabora i meccanismi ludici e teatrali alla base del gioco narrativo.

The Adversary, sesta puntata di Westworld, prosegue lungo le linee di sviluppo già tracciate negli episodi precedenti, preparando il terreno per l’ingresso nell’ultimo atto dell’arco narrativo stagionale. Tuttavia, la puntata è tutt’altro che un filler. Gli slittamenti, sottili ma decisivi, approfondiscono le crepe nella solidità del parco e stanno progressivamente abbandonando il centro in favore delle due periferie: quella letterale della Frontiera/Labirinto, e quella metanarrativa del management di Westworld. Risulta sempre più chiaro che i progettisti e i narratori del debordante parco divertimenti non sono realmente in controllo della loro creatura, mentre i controllori (l’avversario?) restano avvolti nel mistero. L’ultimo interrogativo introdotto dalla puntata riguarda Maeve, la proprietaria del bordello di Sweetwater. La sua presa di coscienza, sicuramente decisiva per le prossime puntate, apre la questione delle potenzialità represse dell’intelligenza degli androidi e quella, decisamente attuale, della singularity e della gestione di superintelligenze artificiali.
Dopo sei puntate, è possibile approfondire la rete di riferimenti e di obiettivi su cui si estende la serie HBO. Westworld infatti conferma la sua notevole ambizione come operazione produttiva ed esperimento narrativo, rivelandosi come uno dei prodotti del suo genere più esigenti nei confronti dello spettatore. La sua natura citazionista e cinefila è qui particolarmente evidente: i riferimenti alla fantascienza degli anni Settanta, da La fuga di Logan a Un mondo maledetto fatto di bambole, si fanno più approfonditi, mentre non manca una scena che pare essere una citazione diretta di Django. Al tempo stesso, la matrice videoludica dell’architettura narrativa complessiva si fa sempre più trasparente: Abrams e Nolan continuano a lasciare lo spettatore all’oscuro di fatti e informazioni fondamentali, nella speranza di creare una fanbase sufficientemente coinvolta e ampia da creare un vero e proprio universo narrativo comparabile a quello di Lost e Matrix. Lo showrunner è sempre più vicino al game designer, al creatore di meccaniche e di codici audiovisivi, che struttura l’esperienza del fruitore più che definirne un percorso a tappe fisse all’interno del testo. Dopotutto, Westworld è un MMORPG: un gioco di ruolo multiplayer, a cui non è più richiesto l’attributo di essere online: la presenza sostituisce la connessione. A differenza di un videogioco tradizionale, come Red Dead Redemption (parco a tema western), Skyrim (parco a tema fantasy-vichingo) o un qualsiasi ecosistema ludico ad impianto fortemente narrativo, un gioco online richiede un costante adattamento alle azioni relativamente libere dei giocatori: progettazione di quest e avventure dinamiche, simulazione di un sistema economico interno al gioco e così via. Le varie storyline tendono a catalizzarsi su oggetti evocativi (nel caso di Westworld: la statuetta dello scienziato trasportata dagli indiani, il labirinto, il frammento di memoria che tormenta vari personaggi), indizi e archetipi facilmente riconoscibili ma non decifrabili che presuppongono l’esistenza di fan-giocatori-detective pronti ad accoglierli.
Naturalmente, si tratta di una elaborata illusione, di una finzione: l’immersione videoludica, per quanto vivida, è il frutto di una serie di scenari predefiniti, così come la serialità televisiva non può essere interattiva in quanto vincolata dalla fruizione lineare dell’audiovisivo. La natura della finzione, in senso diegetico quanto metadiegetico, è al cuore di Westworld, e questa puntata lo dichiara in modo trasparente portando alla ribalta la metafora teatrale, vero punto di congiunzione tra gli universi videoludico e audiovisivo. Ford custodisce gelosamente i "replicanti" della sua famiglia, un regalo del misterioso Arnold. Questa "casa di bambola" è una candida mise-en-abyme del parco stesso. A sottolineare ulteriormente questo aspetto, la puntata riprende il personaggio di Sizemore, lo sceneggiatore del parco, ed infierisce sulle sue frustrazioni "artistiche".
Westworld è un enorme palcoscenico che ha inghiottito il teatro stesso, ma è comunque fatto di sceneggiature e scenografie che le attrazioni e gli spettatori interpretano con un grado variabile di improvvisazione. Il riferimento, qui, non è tanto al teatro classico e alle sue rigorose divisioni tra palco e uditorio, che stabiliscono una divisione tra i due mondi tanto netta da farsi architettura. Meglio pensare al teatro contemporaneo, al teatro sperimentale che rompe questi confini e viene interpretato nelle scenografie estese delle nostre città e dei nostri personali mondi tematici: la sfavillante metropoli, la banlieue parigina, il Foro Imperiale. Westworld è uno spazio estetico:
“All combinations are possible there, because the aesthetic space is but doesn’t exist […] This extreme plasticity allows and encourages total creativity. The aesthetic space is endowed with the same plasticity as dreams” (Augusto Boal, The Rainbow of Desire, 1995, p. 20).
Quale migliore descrizione dell’ambizione alla creazione di un mondo al cuore dell’operazione Westworld? L’improvvisazione, introdotta nella prima puntata come novità tecnologica per rendere le attrazioni più convincenti, è la prima cellula di una finzione che si distacca dall’innocuo intrattenimento di un parco a tema e muta in tragedia: tragedia teatrale, e tragedia letterale che esonda dalla finzione stessa perché gli attori stanno recitando, inconsapevolmente, la loro stessa vita.
Le variabili ora si sono moltiplicate e la distinzione tra realtà e finzione è ormai sottilissima: gli attori sono i i veri protagonisti e si ribellano, anche con la violenza fisica, agli spettatori sempre meno autentici e sempre più uomini vuoti, fantasmi di un’umanità ormai perduta. Questa tragedia, naturalmente, non può che avere delle forti implicazioni (bio)politiche: gli attori sono in procinto di ribellarsi al copione e la ribellione dal palcoscenico, verosimilmente, sublimerà in rivoluzione.
Su questo crinale, e sui molti altri a cui abbiamo accennato qui e negli articoli dedicati alle puntate precedenti, la serie HBO conta di costruire il proprio successo di lungo periodo. Il livello più alto del gioco è una grande partita a scacchi tra produzione e spettatori. Si tratta di un gioco di lungo periodo, da dispiegare su diverse scacchiere tra vari media, ed è probabile che ci si trovi ancora nella fase di apertura. Se Nolan, Abrams e gli altri saranno capaci di gestirlo (e di imparare dagli errori di Lost e relativi epigoni), non è escluso che Westworld possa costituire un autentico punto di svolta nell’intrattenimento dell’epoca della convergenza digitale.