In the Mood for Love
Considerato il capolavoro di Wong Kar-wai, In the Mood for Love è una perfetta ed elegantissima dissertazione sulla potenza del desiderio
Considerato da molti, e non a torto, il film più risolto e rappresentativo dell’intera poetica di Wong Kar-wai, In the Mood for Love è per certi versi il compendio, perfettamente equilibrato, di tutte le sue ossessioni predilette.
C’è la metropoli brulicante, sovraffollata e spersonalizzante, quel non-luogo da sempre topos della modernità che genera malinconiche entropie e implosive solitudini. Metropoli che qui percepiamo quasi senza vedere: è un caos che preme alle finestre di interni claustrofobici in cui i personaggi sono costretti a quella costante prossimità, argutamente imposta dal caso, capace di suscitare amori e passioni silenziosi quanto dirompenti. C’è poi l’amore, appunto, onnipresente nel cinema del regista di Hong Kong, sempre tradotto però in desiderio totalizzante e inappagabile, forse mai come nella vicenda disperante di Su Li-zhen e Chow Mo-wan. L’impossibilità della realizzazione del sentimento è rovinosamente connaturata al sentimento stesso, per ragioni insondabili, e questo è il postulato in base al quale agisce il beffardo destino di quasi tutti i personaggi di Wong. Uomini e donne che sembrano essere irreversibilmente condannati a frustranti disincontri amorosi perché eternamente in lotta con un nemico invincibile: il tempo, altro grande protagonista di questo cinema. E’ lo sfasamento temporale, infatti, la mancata sincronia, che si impone ogni volta con cinica prepotenza su questi amori mancati, da Hong Kong Express fino a My Blueberry Nights, passando attraverso In the Mood for Love.
Ma il discorso sul tempo deborda ogni volta dal narrato e si eleva a riflessione extradiegetica, intaccando il cinema come medium e come linguaggio: il tempo che interessa all’autore è specificamente quello qualitativo, bergsoniano, e per questo il suo cinema è fatto di ripetizioni e di ellissi, è circolare e assieme labirintico, e i percorsi dei suoi protagonisti sono paralleli e tuttavia intersecanti, sono una rete in movimento (che mette in relazione un film con un altro attraverso un gioco di espliciti richiami), un andirivieni in cui la cronologia, contestando la dittatura della linearità, può ingarbugliarsi fecondamente su stessa, a imitazione e specchio delle dinamiche libere e al contempo contorte della memoria, cruciale nel cinema di Wong Kar-wai. Perché il ricordo è, spesso, tutto ciò che resta ai suoi personaggi inquieti, monadi condannate a inconsolabili solitudini che affogano malinconie e disillusioni ai bordi di interminabili notti, perennemente attaccati al fumo delle loro sigarette. Il ricordo è ossessione e rimpianto, simulacro di un oggetto del desiderio ontologicamente irraggiungibile, incessantemente lambito ma costantemente negato.
Mai come nel suo capolavoro In the Mood for Love, questo stato di cose viene palesato e sviscerato con tanta perizia: per tutta la durata del film, sospeso e tesissimo, i due protagonisti intrecciano un tormentoso gioco di sguardi ardenti e sfioramenti trattenuti, destinato però a dissolversi prima ancora di sbocciare e deflagrare in tutta la sua segreta potenza. L’eros è debordante perché censurato, trattenuto, arginato, e allora agisce sottopelle, nel sangue, come una febbre muta che ineluttabilmente consuma.
Che cos\'è che impedisce a questo sentimento di concretizzarsi, di prendere forma, di accadere? Su Li-zhen e Chow Mo-wan sono stati traditi dai rispettivi coniugi, che alle loro spalle si amano; nell’ansia di capire le ragioni di questo tradimento si confrontano e provano a (ri)metterne in scena le dinamiche, salvo poi finire con l’aderire, sorprendentemente, ai ruoli che stanno impersonando. Non vogliono “essere come loro”, ma in qualche modo lo saranno. Il nemico è anzitutto l’inappellabile legge non scritta che viene dall’esterno: non solo e non tanto l’autoimposizione di una scelta di lealtà, quanto la necessità del decoro, delle apparenze da salvare, reclamati a gran voce dal mondo tutto attorno che li opprime, li soffoca, li stringe in una morsa di ipocrisia e perbenismo. I vicini, i padroni di casa – con i quali i protagonisti sono continuamente costretti a una asfissiante contiguità – sono il terribile sguardo censorio che spia e giudica inappellabilmente e al quale è impossibile sottrarsi. Non esiste luogo per questo amore, e mai esisterà tempo, perché questo impone l’orizzonte degli eventi nel cinema di Wong Kar-wai.
Ma se In the Mood for Love, a distanza di quasi venti anni, non smette di emanare la sua luce tersa e seducente, non è solo per il cosa racconta – l’eros inesprimibile, sotterraneo, negato – ma soprattutto per il come. Quello che vediamo qui è un Wong Kar-wai maturo, attentissimo, che ha messo da parte la frenesia, la confusione e l’impasto pop e mestamente scanzonato dei suoi film procedenti e ha scelto, in modo mirabilmente calzante, la calma e la sospensione per raccontare lo strazio lacerante e bellissimo dell’attesa d’amore. Ogni inquadratura è un dipinto che contamina la rarefazione notturna di Edward Hopper con colori acidi e sfacciati; ogni sequenza è una poesia minimalista fatta di cose e gesti piccolissimi – lo stampo di rossetto sul filtro di una sigaretta, una frase al telefono forse solo immaginata, una cravatta o una borsa che rivelano un segreto. Film sussurrato, elegantissimo, levigato come un cristallo, è forse in assoluto uno dei migliori racconti sulla forza ostinata e inestinguibile del desiderio.