The Young Pope
Sorrentino presenta al Lido le prime due puntate della sua miniserie firmata Sky ed HBO, un prodotto inaspettatamente leggero, alieno ad ogni logica seriale.
The Young Pope si apre con un’immagine ufo, un montagnoso mare di infanti da cui evade e nasce il nuovo, giovane Papa di Jude Law, nel mezzo di un panorama notturno veneziano. Perché Venezia se la serie è, evidentemente, incentrata sul Vaticano?
Perché è da qui che arrivano i genitori morti di Papa Pio XIII, nato Lenny Belardo, orfano cresciuto in convento e guidato da una sfrenata, intima ambizione. Dal poco, minimo, dolore che Paolo Sorrentino decide di dosare in questi primi due episodi, scopriamo infatti che Venezia gioca un qualche ruolo cardine nell’emotività di un personaggio a dir poco napoleonico, legato alla stessa città in cui si trovava ricoverata la moglie del compositore Ballinger nel precedente Youth - La giovinezza. Una coincidenza che sicuramente tale non è, Venezia che ritorna come sede di un’intimità rifuggita ma necessaria, nel racconto che un regista pure lui orfano costruisce attorno al suo alter-ego, un Papa megalomane, sprezzante, conservatore rivoluzionario.
A dir poco spiazzante il primo contatto con The Young Pope, miniserie d’autore che dietro di sé ha tre giganti produttivi, HBO, Sky e Canal+; da questa sinergia internazionale sembra nascere un’opera che – almeno dai suoi primi due episodi – nulla ha di autenticamente seriale. Chi desiderava assistere al confronto tra la forte autorialità di Sorrentino e le prassi in costante mutamento della serialità contemporanea si prepari a rimanere deluso, se non irriso. Sorrentino infatti ignora bellamente tempi e snodi propri di un racconto episodico, preferendo a questi il ritratto sincopatico e farsesco di un Vaticano da barzelletta, popolato da canguri selvaggi e cardinali incartapecoriti, suore rubiconde e confessori chiacchieroni, tutti circondati da un oceano di credenti pronti a ricevere la prima, attesa omelia del nuovo Papa.
Dentro e fuori dalla Chiesa The Young Pope è un carosello di volti deformi, rovinati, grotteschi, una galleria in cui l’occhio compiaciuto e cinico si sofferma su fedeli e figli disabili, bambini obesi, alla costante ricerca di quel profano con cui contaminare il sacro della rappresentazione. Sempre più per Sorrentino il mondo contemporaneo appare come un orizzonte appiattito e privo di senso, e l’esordio di The Young Pope – nel suo dichiarato egocentrismo – conferma il nichilismo di questa prospettiva, attraversata da un’ironia costante che trasforma l’inizio di questa miniserie in una commedia di infantile irriverenza e grottesca deformazione estetica.
Al centro del regno Papa Pio XIII, un’incarnazione giovane, modaiola, diabolicamente consapevole della società mediale che lo circonda, ma assieme rigidamente reazionario, spietatamente medievale, fermo in posizioni urlate ad una folla che rimane interdetta, ammutolita, smarrita. Lui non ne sarà guida o pastore, dice, ma monito furente e indignato della delusione che Dio prova nei nostri confronti. Dietro di sé lascia un nuovo balcone vuoto, ma di certo a Sorrentino non interessa riallacciarsi alla crisi e il dolore di Habemus Papam, in The Young Pope non vi è alcun questionare sulla fede né un soffermarsi sul peso e senso dell’autorità, sulla responsabilità della guida. Per Sorrentino tutti questi appaiono già come sistemi svuotati di senso, sconfitti dall’impellente carattere casuale della realtà.
Nonostante la svolta radicale di questo Papa sia l’unico elemento che faccia da traino agli sviluppi successivi, Lenny Belardo è una figura che affascina ma semina anche dubbi molto forti. Sorrentino crea per sé un’incarnazione supponente, narcisistica e cinica, un terreno di confronto con le proprie ossessioni cui si deve il carattere così personale dell’operazione, un discorso autoriale che se portato all’estremo potrebbe davvero rappresentare un unicum nell’attuale panorama televisivo.
In attesa del prossimo Twin Peaks, i primi episodi di The Young Pope sembrano anticipare una miniserie che segue la logica dell’accumulo, della stratificazione di frammenti, di quella narrazione lapidaria e paratattica che contraddistingue l’ultimo cinema di Sorrentino.
Al netto di ciò resta lecito chiedersi, ne vale la pena? Un simile apparato produttivo può trovare qui dentro qualcosa di più che un brand comprovato da vendere ai propri abbonati? Perché se è vero che The Young Pope sorprende per la sobrietà dello stile e la riuscita di certi ritratti e battute (vedi Silvio Orlando), allo stesso tempo l’irriverente mescolanza di alto/basso, sacro/profano si limita spesso ad una gestione infantile dello stupore, un banale gioco di contrasti che poco ha di veramente dissacrante e nulla di autenticamente doloroso. Senza aggiungere nulla al discorso poetico del suo autore, che rischia piuttosto di ripetersi e farsi maniera sempre più automatica, The Young Pope investe tutte le sue speranze nella figura di Lenny Belardo, diviso tra un futuro di comando e un passato probabilmente traumatico. Dieci puntate formato cable però sono davvero molte, basterà questo duello intrapreso con il proprio ego a tenerle in piedi?