NOS4A2

L'adattamento di Jami O'Brien e Joe Hill dell'omonimo romanzo del secondo prova a configurare una storia di formazione attraverso i codici del genere horror: la pigrizia dell'impianto formale e narrativo però azzoppa la riduzione.

Nos4a2 - recensione serie tv amazon prime video o'brien

Al centro di NOS4A2, quindi sotto la corteccia composta dai suoi sbiaditi arzigogoli narrativi e dal suo inerte impianto visivo, riposa una riflessione sulla formazione della personalità dell’individuo adolescente. Per la serie prodotta da Amazon Prime Video, creata da Jami O’Brien e tratta dall’omonimo romanzo di Joe Hill, questa presenza sotto copertura – continuamente vivificata e dichiarata con rimandi maldestri dalla sponda drammaturgica e dalla controparte formale – è l’unica spinta legittimante, l’unico elemento di possibile interesse capace di giustificare l’intera produzione: la storia, canonica ma sempre infuocata, della fratturazione dell’idealtipo famigliare, della sofferenza che si rifugia nell’inconscio e dell’individuo adolescente costretto a fronteggiare tempeste psicologiche per comporre il puzzle del suo carattere nel mondo adulto, infatti, certo non richiede mai un impegno cerebrale agile ma almeno solletica un potenziale tentativo di partecipazione emotiva, grazie al riflusso continuo del sentimento e al potere convincente del trasporto patetico.

La storia della crescita identitaria di Vic McQueen (Ashleigh Cummings), della scomparsa di alcuni bambini e delle azioni di un “Mefistofele” motorizzato di nome Charlie Manx (Zachary Quinto), è quindi facilmente identificabile come un ammasso narrativo poco interessante costruito sulla base di un presupposto attraente, in cui si può scomporre il visibile narrativo dall’invisibile tematico e riscontrare le modalità con cui la serie organizza le proprie configurazioni per comunicare il nucleo della sua storia. La critica a NOS4A2 si dispiega soprattutto per l’insufficienza con cui queste stesse configurazioni concretano il loro contenuto: attraverso i codici ambientali dell’horror, la serie cerca di intensificare i suoi nuclei tematici - tra i quali il percorso di formazione è uno dei tracciati semioticamente più densi – e lo fa costruendo una metafora in cui il dramma famigliare si pone come avventura contro il male; il tentativo – anche consapevole, come enuncia la stessa protagonista - è funzionale sulla carta ma poco sullo schermo, dove una dilatazione non giustificata dei tempi del racconto sbriciola la forza dei pochi simboli presenti.

Anche le buone idee – come lo stress suscitano nei personaggi dal valore emotivo degli oggetti – vengono compresse sotto al peso di un masochismo espressivo che non è tanto causato dall'incapacità ma dallo spreco di occasione. La potenzialità di un racconto horror sulle scelte che si compiono a causa del dolore provocato dalla propria diversità, dal lutto virtualmente avviluppatosi nell’inconscio, dai sensi di colpa tramandati in eredità dai propri genitori, rimangono posizionate sul fondo di un’immagine pigra che non educa mai la grammatica visiva per valorizzare il senso, e appiattisce anche la profondità significante del simbolo. Rimane così abbandonato – anche dal punto di vista formale - il discorso sulla crescita come comprensione del dolore necessario e del male ambiguo, come consapevolezza dell’impossibilità delle scorciatoie e dell’inevitabilità del sacrificio di alcuni affetti, come salvezza del ricordo dell’infanzia e a un tempo scioglimento dall’ingenuità “natalizia” del bene.

Autore: Leonardo Strano
Pubblicato il 26/09/2019
Usa 2019
Durata: 1 stagione da 10 episodi

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