Happy New Year, Colin Burstead

di Ben Wheatley

Il nuovo film di Ben Wheatley è l'ennesimo gioco al massacro di festeniana memoria.

Happy New Year

In principio era Kill List - il suo secondo e miglior film - e con Ben Wheatley fu subito folgorazione. Una di quelle rare opere realmente imprevedibili, stranianti e multiformi. Non sapevi dove potesse andare questo strambo cineasta inglese, che partiva da scene di un matrimonio, si insidiava in traiettorie lynchiane e finiva nei territori oscuri di un sabba. Negli anni successivi si creò un’autentica Wheatley-mania, nonostante il regista andasse gradualmente a perdere quell’alone di mistero e originalità che permeava il suo titolo di culto. Basti pensare ad A field in England, film intrappolato nell’estetica b/n “da festival”, compiaciuto fino al midollo, che si apriva a squarci visionari forzati e, quantomeno, di dubbio gusto estetico.

Con Happy New Year, Colin Burstead arriva prontamente la domanda: cos’è rimasto dello strepitoso regista di Kill List? Qualsiasi vecchia politica autoriale viene a mancare: siamo – ancora! – nei territori del vittenberghiano Festen, nel ritrovo di famiglia dell’ennesimo nucleo disfunzionale. L’evento questa volta non è un compleanno ma il capodanno da passare tutti insieme in famiglia (ed è la solita pessima idea!). I fuochi d’artificio saranno i duelli all’ultimo sangue dove le tensioni accumulate finiranno per esplodere.

Fratelli che non si sopportano, genitori in crisi, debiti,  risentimenti, sfoghi e mancanze. In mezzo qualche momento felice, profondo perché rarissimo. Macchina a mano di dogmatica memoria, scrittura piccante e molto british, cinismo che alla fine fa rima con nichilismo. Il set è la lussuosa tenuta in piena campagna, gli attori sono i burattini in balia dell’intelligenza di chi scrive. Programmatici, freddi e funzionali. Tutto scorre, come sulla carta, peccato che il buco nero sia l’emozione (eccetto che, guarda caso, quando uno dei fratelli si emancipa dalla trappola familiare e finisce ad urlare in riva al mare: lì, finalmente, intercettiamo tracce di dolore autentico). Alla fine si assiste a un film mortifero, costantemente appiattito dallo zelo sofisticato della messa in scena. A questo punto verrebbe quasi da consigliare A casa tutti bene, l’ultimo interessante film del sempre bistrattato Muccino, dove la tensione si alimenta inquadratura dopo inquadratura e non ci si vergogna mai di far trasparire un po’ di emozione. E dove, soprattutto, lo spazio non è scenografico e bidimensionale, ma diventa parte integrante del racconto.  

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 30/11/2018
Gran Bretagna, 2018
Regia: Ben Wheatley
Durata: 95 minuti

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