Big Hero 6
Verso l'infinito e altro!
«Ecco, io v’insegno il superuomo:
egli è questo fulmine, egli è questa follia!»
F. Nietsche, Così Parlò Zarathustra
La prima cosa che viene in mente appena terminata la visione di Big Hero 6 è che il problema dei film targati Marvel Studios non è assolutamente la Disney, anzi.
Big Hero 6 è infatti considerato il cinquantaquattresimo classico Disney ma, pur essendo basato su un franchise Marvel e rifacendosi in buona parte all’immaginario dei comics, non presenta alcun intervento da parte dei Marvel Studios, come ha affermato il presidente Kevin Feige.
Il primo dato importante che salta all’occhio è paradossale: pur essendo un film intimamente disneyano, i toni generali di questo lungometraggio d’animazione sono sostanzialmente più maturi di buona parte dei prodotti pensati per un target giovane e senza dubbio meno puerili rispetto alla stragrande maggioranza delle produzioni targate Marvel Studios.
Big Hero Six è ambientato in un futuristico luogo dal nome programmatico di "San Frantokyo", in cui a fondersi non sono solo i nomi delle città di San Francisco e di Tokyo ma anche numerosi aspetti della cultura popolare di Stati Uniti e Giappone: da un lato i supereroi colorati e un certo modo di raccontare la traiettoria dell’eroe contemporaneo tutto americano e dall’altro le arti marziali, la difficoltà di gestire le emozioni forti e, ovviamente, i robot giapponesi. La commistione tra riferimenti iconografici e modi espositivi provenienti da U.S.A e Paese del Sol Levante aveva già prodotto ottimi risultati con il faraonico Pacific Rim di Guillermo Del Toro in cui l’estetica degli anime con protagonisti i Mecha e i Kaiju (i robottoni giapponesi come Mazinga o Gundam e i mostri colossali alla Gozilla) sposava le dinamiche dell’action movie statunitense portandosi dietro tutto un corollario di riflessioni profonde sul rapporto tra uomo e macchina che è sostanza di numerosi film chiave per le cinematografie di entrambi i paesi citati (pensiamo, ad esempio, a film come Terminator, Transformers, Existence, Matrix, Tron, Avatar etc. per quanto riguarda il nordamerica o a mezza filmografia di Shynja Tsukamoto per quanto riguarda il Giappone).
In Big Hero 6 il meccanico e il "macchinico", nella loro accezione più cupa e filosofica, sono interconnessi con il "sense of wonder" di derivazione illuministico-positivistica che, in fondo, è tutt’oggi alla base dell’approccio statunitense alla tecnologia. Dal punto di vista grafico si percepisce che molto del fascino plastico di Big Hero 6 è dovuto tanto alla cura maniacale del dettaglio quanto all’eredità e alla forza d’impatto delle dirompenti e visionarie illustrazioni realizzate da Jack Kirby che, grazie al suo tratto marcato e spigoloso, riuscì a conferire nuova matericità alle più formidabili, gigantesche e complesse apparecchiature meccaniche ed elettroniche fino a quel momento concepite per un albo a fumetti.
L’atmosfera che prevale e che si respira sin dall’inizio è quindi molto più vicina a quella dell’epica supereroistica che ha caratterizzato e reso speciali i comics firmati da Lee e Kirby negli anni ’60, contraddistinti sopratutto da un sapiente equilibrio di dramma e leggerezza: il modo ideale, almeno per chi scrive, per tratteggiare periodi delicati come quello che può attraversare un giovane costretto a crescere prima del previsto.
Questa particolare articolazione della traiettoria del desiderio del soggetto in crescita, fotografato nell’atto del cambiamento, della metamorfosi e del (dis)orientamento è predominante nei comics firmati da Stan Lee ma si riconnette anche direttamente ad un decennio cardine per l’istituzione di un determinato immaginario filmico nel cinema statunitense; parliamo, ovviamente, degli anni ’80.
Gli anni ’80 sono infatti il periodo in cui il cinema ha saputo affrontare in modo forse più completo e sintetico i traumi e la complessità che investono infanzia, adolescenza e cambio di prospettiva dei giovani d’America (e delle loro famiglie disfunzionali). L’immaginario ed il sistema di riferimenti che alimentano Big Hero 6 sono, non a caso, presi copiosamente dalla decade in questione, compreso un fitto ed intricato reticolo di citazioni che vanno dalla più esplicita dichiarazione d’amore verso E.T. alle più nascoste e sofisticate strizzate d’occhio per appassionati, inglobando tutto un sistema di codici e riferimenti iconografici ben radicati ed assimilati dal pubblico contemporaneo (basti pensare alla figura del "nerd", oggi più che mai tornata in prima linea).
La struttura di Big Hero 6 fonde lo schema di film come Stand by Me o I Goonies - in cui un gruppo di bambini o ragazzi si avventura in un viaggio irto di pericoli scoprendosi completamente cambiati al termine del percorso - alla favola dell’incontro, in cui un’essere umano, spesso una sorta di “eletto” inizialmente riluttante, viene portato al cambiamento dall’incontro con l’alterità (un’alieno, un’entità sovrannaturale o, come in questo caso, un robot).
Anche in questo caso abbiamo a che fare con la storia di un gruppo di ragazzi che cercano di affrontare un dolore profondo utilizzando l’unica arma di cui dispongono: l’immaginazione.
Rimodulare la (nostra) realtà, sforzandosi di ampliare gli orizzonti della percezione, è il primo passo per evolvere e superare i limiti che molto spesso ci vengono imposti dalla società. Ciò che cambiamo dentro il nostro cuore e nella nostra mente può cambiare ciò che percepisce il nostro sguardo e il nostro corpo: questo è un concetto forte e molto importante che il film sembra esprimere su più livelli. E’ un concetto che fa sempre bene tenere a mente, almeno quando si va al cinema, in anni in cui l’iperrealismo e la didascalia la fanno da padrone, rendendo asfittico e chiuso buona parte dell’immaginario contemporaneo.
Big Hero 6 è quindi principalmente una storia di crescita e maturazione ma anche un invito a lasciarsi andare e credere in se stessi: è il racconto di un disgelo emotivo che porta alla scoperta di un nuovo Se e che, in ultima battuta, ricorda a tutti che per essere spettatori completi e davvero ricettivi è indispensabile saper mantenere un contatto sempre vivo e attivo con il nostro Io bambino.