Sound of Metal
L'opera prima di Darius Marder affronta la disabilità in modo immersivo e tutt'altro che scontato
Prima le distorsioni elettriche e il martellare ossessivo della batteria, poi, improvviso, il silenzio. È quello che accade a Ruben (Riz Ahmed), batterista in un duo metalcore con la fidanzata Lou (Olivia Cooke), di colpo vittima di una perdita vertiginosa e inarrestabile dell'udito. Un silenzio con cui scendere inevitabilmente a patti e, forse, con cui rinascere.
Parrebbe quasi il perfetto percorso a tappe del più classico dei coming of age Sound of Metal, opera prima di Darius Marder distribuita da Prime Video, non fosse che sembrano proprio quelle tappe le prime a essere rigettate da una storia che fa del suo andamento oscillante, fatto di cambi repentini di percorso e nuove strade da battere, la sua cifra distintiva. Del resto il film comincia con una rinascita già avvenuta, quella che ha visto Ruben uscire dal tunnel della tossicodipendenza gettandosi anima e corpo nella musica. Una rinascita interrotta dalla perdita proprio di ciò che in prima istanza lo aveva salvato, facendolo diventare un musicista.
La sordità come beffa e incidente di percorso, dunque, un cambio di marcia che per questo si discosta e problematizza la stessa idea di seconda possibilità tanto cara alle narrazioni sul sogno americano.
Partendo da un soggetto semiautobiografico del collega Derek Cianfrance, il co-sceneggiatore di Come un tuono Marder affronta di petto la disabilità scegliendo la strada dell'immedesimazione. Messe da parte scene madri e facili sentimentalismi, il regista lavora così di sottrazione, tra piani ravvicinati e non detto, asciugando vicenda e interpretazioni – a partire da quella eccellente di Riz Ahmed – e lavorando soprattutto su un sound design mai così curato, tra sperimentazioni e distorsioni immersive. È così che le soggettive uditive di Ruben irrompono nella vicenda restituendoci, a tratti, tra suoni ovattati e metallici, un disagio che non ha bisogno delle parole (o del linguaggio dei segni) per essere capito appieno.
Sperimentando la solitudine della sordità, Ruben, nel tentativo di “sentire” di nuovo il mondo, si avventura così in un percorso tutto personale, tra nuove vite possibili (la comunità per non udenti e l'intenzione di vivere la sordità non più come un handicap), repentini cambi di rotta e improvvisi momenti di illuminazione. Un viaggio in continuo divenire, che ridefinisce priorità e affetti, nello sforzo di ridisegnare un mondo in cui il silenzio è qualcosa di vivo e materico, un suono come un altro, o, forse, il più importante di tutti.