Animali Fantastici-I Crimini di Grindelwald
Lavorando sui concetti di forma e di transitorietà, il secondo episodio della nuova pentalogia di J.K. Rowling crea un parallelismo tra la magia del mondo di Harry Potter e l'incantesimo delle immagini fisse in movimento.
Chewbe, siamo a casa.
È innegabile che, per i nati nel corso degli anni Novanta, la saga creata da J.K. Rowling sia stata l'equivalente letterario dell'impasto filmico nato dalla mente di George Lucas e destinato a cambiare per sempre la storia del cinema americano. Harry Potter è l'anno zero dell'immaginario collettivo contemporaneo. Dal 1997, c'è un prima e un dopo Harry Potter. Ovviamente, non si tratta semplicemente di un fenomeno di marketing ma di una mitologia che, negli anni in corso, sta per raggiungere la maturità. I bambini che circa due decenni fa si accingevano a leggere le avventure di Harry, Ron ed Hermione, e a fare i conti con le proprie paure e con l'importanza dei sentimenti, sono i trentenni di oggi a cui è principalmente rivolta la nuova pentalogia di Animali Fantastici, prequel e spin-off giunto qui al suo secondo episodio.
A tornare in cabina di regia per Animali fantastici - I crimini di Grindelwald è David Yates, in apparenza il meno potteriano e magico dei registi che hanno trasposto al cinema le avventure del maghetto. In quest'episodio di transizione tutto inizia con una fuga: Gellert Grindelwald, il mago oscuro più potente di tutti i tempi prima dell'arrivo di Lord Voldemord, riesce ad evadere di prigione. Il suo obiettivo è quello di radunare seguaci e lanciarsi sulle tracce di Credence, l'Obscuriale protagonista del film precedente. In seguito alla fuga di Grindelwald, Albus Silente chiama a rapporto il giovane Newt Scamander e lo incarica di cercare il ragazzo che avrà un ruolo fondamentale per la sconfitta del mago oscuro.
Con l'incalzare del racconto, la fuga continua. Credence è alla disperata ricerca delle sue origini, Silente scappa da un passato che non sa ancora come affrontare, la dolce e riluttante Queenie abbraccia il lato oscuro. E, sullo sfondo, si muove Johnny Depp, nei panni dell'indefinito ed albino Gellert Grindelwald, la perfetta incarnazione fantastica di un attore che ha commesso il crimine di aver gettato al vento il suo estremo talento.
Abbandonato il clima da Belle Èpoque del primo episodio, Yates torna alle sue più congeniali nuance fumose. La location si sposta dalla tiepida New York, teatro di amori impossibili, alla fredda Parigi, luogo di vicoli bui, nebbia e misteri da svelare. L'elemento più riuscito del film risiede proprio nell'atmosfera che domina questo I Crimini di Grindelwald. La guerra è alle porte e la sensazione di una tragedia imminente che coinvolge il versante personale, civile e mondiale appesantisce ulteriormente un clima già distopico. Persino il ritorno ad una Hogwarts-pre Harry Potter (quindi familiare ma non del tutto) è carico di suggestioni e di tracce che rimandano a un futuro che è ormai passato. Sono decine i riferimenti disseminati lungo l'arco della narrazione che indirizzano alla pietra filosofale e a Nicolas Flamel, alla Fenice di Silente e alla famiglia Black. A rendere quanto mai debole il racconto sono invece le innumerevoli storyline aperte e destinate a non trovare (ancora) una loro conclusione, condannate alla struttura reticolare che, da sempre, si presta a metafora perfetta per tratteggiare le storie di J.K. Rowling. La sensazione è che questo secondo episodio della pentalogia, a saga conclusa, corra il rischio di essere dimenticato, etereo e volatile com'è.
In conclusione, un'idea attanaglia chi scrive. E se il carattere s-formato del film, così indeciso sul genere da abbracciare e popolato da personaggi dilaniati da conflitti, non fosse altro che un segno quasi tangibile della magia di cui tanto si parla? In questo senso, il racconto sarebbe un contenitore perfetto per maghi alle prese con polveri magiche capaci di individuare tracce di movimenti passati e rendere malleabile il tempo, dettando la velocità dell'azione in un cortocircuito di relatività che distingue le esistenze degli essere magici da quelle dei Babbani. È proprio quando mostra e lavora sulla propria assenza di forma che Animali fantastici - I crimini di Grindelwald riesce a raggiungere vette che, nei momenti in cui dispiega tutta la sua verbosità, non riesce nemmeno a sfiorare. In definitiva, una forma/non-forma del genere avrebbe strettamente a che fare con l'arcaico incantesimo visivo che rende percepibile il movimento di realtà bloccate nel tempo, e con una transitorietà che rende palese il proprio intimo segreto. In fin dei conti, sempre di magia si tratta.