Zack Snyder's Justice League
Un film che è l’apice dell’ambizione cinematografica di Zack Snyder, un cinecomic che racconta i pregi e i limiti della contemporaneità audiovisiva e si fa memento della superficiale preparazione della Warner nella guerra contro la Marvel.
Prima di essere un film, Zack Snyder’s Justice League è soprattutto un altro di quei prodotti culturali inscindibili dal contesto in cui si inseriscono. Tra critica e fandom, ci si è infatti concentrati solo sulla dimensione emotiva di quest’evento, su un film uscito in sala rimaneggiato, tagliato, frainteso dalla Warner e da Joss Whedon nel 2016 e che ora, cinque anni dopo, è stato ricostruito in sintonia con le intenzioni del suo regista originale, e tuttavia tutta l’attenzione rivolta al soggetto di quest’operazione rischia di far perdere d’importanza il fondamentale sfondo in cui la figura si inserisce. Ci troviamo infatti di fronte al perfetto film evento in epoca pandemica, un prodotto inserito in un orizzonte unicamente digitale, inscindibile dalla visione in streaming perché inadatto a una distribuzione tradizionale a causa della sua durata. La versione di Zack Snyder è soprattutto un film liminale, che si inserisce in una zona grigia e va a colmare un vuoto che non è solo creativo o distributivo ma anche esperienziale, ed è indubbio che il progetto, a posteriori, faccia del dialogo con certi angoli ciechi del cinecomic contemporaneo uno dei tratti essenziali del suo essere. L’obiettivo della regia è infatti lavorare attorno alla maggiore criticità che la concorrenza non è ancora riuscita a risolvere: la presenza di un’autorialità forte che plasmi la materia narrativa.
Da questo punto di vista, Justice League è l’apice dello Snyder-pensiero, punto d’incontro delle maggiori linee tensive del percorso di ricerca intrapreso dal regista fin dai suoi primi progetti. Il racconto della lotta contro Darkseid organizzata dalla squadra di eroi formata da Batman, Wonder Woman, Flash, Cyborg e Superman viaggia dunque liberamente tra il presente, il passato mitico dell’Era Degli Eroi e la Germania Della Seconda Guerra Mondiale, arrivando fino alle immense lande di una realtà alternativa e apocalittica, in una fatasmagoria di mondi possibili che ricorda la libertà di approccio agli universi infiniti che già caratterizzava Sucker Punch. Al contempo, ecco che uno spazio così ipertrofico viene popolato da entità di cui la regia esalta la fisicità plastica (come già fece con gli spartani di 300) ma che soprattutto rappresentano i tasselli finali del discorso che, da Watchmen passando per Man Of Steel, Snyder ha sviluppato sulla figura del supereroe. Justice League infatti è soprattutto il luogo che esplicita, con evidenza, quanto l’eroe snyderiano sia un’entità pressoché divina che si muove in uno spazio diverso, separato da quello canonico, quasi fosse un sintomo capace di modificare la realtà che lo circonda.
I personaggi di Snyder agiscono in una dimensione agli antipodi rispetto quella dell’iper-realistica Marvel, un contesto concepito totalmente nello spazio digitale e che nel digitale ritrova non solo le sue fondamenta espressive ma anche la sua sintassi basilare. Si pensi a quanto quest’immaginario sia legato a quello videoludico, al Batman della serie Arkham di Rocksteady, o alla storyline di un videogame come Injustice, e come diventi centrale la dimensione sintetica dell’immagine nei tanti rallenti che legano il peso tematico degli eroi al linguaggio usato per raccontarli. Problematizzando un residuo del cinema postmoderno come la ripresa al rallentatore, Snyder porta all’estremo grado di maturazione la sua personale idea di uno spazio-tempo dilatato, plastico, suggerendo l’idea di un eroe che agisce in una dimensione diversa da quella convenzionale, costretta a sottomettersi di fronte una potenza che quelle coordinate le ignora e riscrive.
Ad un livello di analisi più profondo, tuttavia, Zack Snyder’s Justice League è un progetto ondivago, tanto coeso e profondo nella sua dimensione tematica e simbolica, quanto debole e stanco in quella strutturale. È indubbio che il film soffra diversi cali di concentrazione da parte di una regia che a volte cade vittima di un rapporto ingenuo con il visivo, di un certo didascalismo, quando non di un evidente autocompiacimento, un approccio, questo, che finisce per appesantire il corpus narrativo. Ma soprattutto colpisce quanto, nella versione integrale, Justice League manifesti il pessimo approccio al concetto di universo condiviso tentato dalla Warner con il suo Dc Universe, che a differenza della Marvel tenta un progetto team-up senza aver preparato adeguatamente la strada ai suoi personaggi (e alle sue diverse linee produttive). Il risultato è un film che annaspa per almeno metà della sua durata nel tentativo sbagliato di sviluppare decine di nuove storyline atte a creare quella cornice narrativa dal background complesso che fino a quel momento nessuno si era preoccupato di concepire. Il risultato è un’azione di world building ambiziosa e personale che al contempo non può non perdersi in certe lungaggini, tra l’altro aggravate dall’esperienza di visione offerta dallo streaming. È evidente che, dando la possibilità all’utente di gestire i tempi di visione, il rischio di finire sovrastati dall’entropia della narrazione è alto, complice anche il fatto che Justice League intrattiene un dialogo ambiguo con la dimensione della serialità, tra il desiderio di emulare la natura intrinseca del racconto a puntate e l’impossibilità di essere altrettanto coeso.
A contatto con questo contesto, la gestione dell’ultimo atto appare come una sorta di rivelazione. Il confronto tra gli eroi e Darkseid non è solo l’apice dell’architettura simbolica del film ma è soprattutto il momento in cui la diegesi riesce a creare quel rapporto emotivo complesso tra i personaggi fino a quel momento inesistente e a capitalizzarlo con consapevolezza. Snyder, liberatosi da tutto ciò che era stato obbligato a sviluppare per sostenere la narrazione, riesce a far respirare il film e a trovare quel passo libero da costrizioni che cercava fin dall’inizio.
Tra narrative complesse, culture di internet e dell’hype, nuove modalità di fruizione e mitopoiesi, il film Zack Snyder’s Justice League è un precipitato dei pregi e dei limiti della contemporaneità audiovisiva ma soprattutto risulta una straordinaria testimonianza dell’impreparazione della Warner/Dc alla guerra dello streaming, al di là dell’immane sforzo produttivo compiuto da Snyder. Ora, forse, solo il tempo potrà dire se il film sarà solo il memento di una falsa partenza o costituirà il primo passo per la ricostruzione.