Dossier Steven Spielberg - Always - Per Sempre
Favola ingenua sull'amore dopo la morte, che Spielberg rappresenta adoperando tutti gli stilemi più classici di un cinema che vuole coinvolgere, far ridere e commuovere con sentimento
17 anni dopo la sua uscita nelle sale Always – Per Sempre sembra oramai essere uno dei film di Steven Spielberg meno conosciuti: il suo carattere stucchevole e fiabesco fa pensare che questa storia di anime che tornano dal Paradiso, eroi coraggiosi e amori ultraterreni possa risultare datata a uno sguardo contemporaneo, benché Ghost, di solo un anno più giovane e molto simile in alcuni soluzioni narrative, sia ben più ricordato. Ma se Always – Per sempre rivela di essere in un certo senso molto scontato, è in virtù del suo legame stretto con una particolare idea di cinema classico sempre presente in Spielberg soprattutto in quel senso di fiabesco, di incanto prodotto da schemi molto semplici, come lo stupore infantile di fronte allo straordinario che irrompe nella quotidianità, la potenza dell’amore come esperienza che eleva l’umano al sovrumano, e l’ingenuità spensierata del gioco. Il cinema può attingere alla propria risorsa di evento spettacolare e ricomporre la realtà secondo moduli fantastici, così i personaggi di Always - Per sempre si muovono in un’atmosfera piena di brio, sin dalla coppia dei protagonisti Pete (Richard Dreyfuss) – Dorinda (Holly Hunter), piloti dell’aviazione antincendio, che si amano battibeccando a tempo come in un giro di valzer, lasciandosi a volte andare a gesti teatrali.
Questa vivacità narrativa si nutre di dettagli, dal corpulento umorismo di John Goodman, che interpreta Al, il migliore amico di Pete, agli scherzi che quest’ultimo non può fare a meno di perpetrare anche dopo la morte. Il rovescio della medaglia sta in una propensione sfrenata ad andare oltre i confini della comune prudenza: in caso di incendio Pete non si esime dal continuare a volare fino ad esaurire il carburante, rischia spesso la vita e riempie d’angoscia Dorinda che lo ama appassionatamente ma soffre per le costanti preoccupazioni che le arreca. Alla fine l’uomo morirà in un incidente dopo aver salvato la vita ad Al (con un’espressione naturalmente ammiccante), e finito in Paradiso, troverà un angelo a spiegargli che da morto ha il compito di restituire ciò che ha avuto da vivo formando un altro pilota tramite il potere di suggerire pensieri alle persone.
L’angelo è Audrey Hepburn , alla sua ultima apparizione sul grande schermo prima della morte avvenuta nel 1993. La sua presenza evoca quel senso di innocenza e candore aderenti alla natura fiabesca del film, che non si limita ai particolari giocosi sparsi per la storia, ma richiede obbedienza a stilemi ben noti: Pete, che si è comportato per tutta la vita da eroe senza paura, deve ora da morto non solo aiutare il bel Ted a diventare pilota, ma salvare Dorinda dalla nostalgia per lui e permetterle di andare avanti. Ciò significa riuscire a amare un altro (nei fatti, proprio l’allievo di Pete), e questo non può che rappresentare un problema per l’uomo, che non riesce ad accettare di perdere un posto nel cuore della donna amata.
Quel che Always – Per sempre sembra visivamente coincide anche col punto di vista narrativo: i toni del blu rappresentano premonizioni e allusioni di mortalità (Dorinda intuisce un pericolo per Pete quando lo vede avvolto nella luce fredda, e alla fine del film Pete si congeda da lei in uno sfondo azzurro) mentre quelli caldi sottintendono al calore vitale. Inevitabile dunque che in un film così gentilmente retorico l’eroe buono finisca per mettere le persone amate sopra se stesso. Dopo aver ispirato, salvato e liberato dalla sua assenza Dorinda, Pete potrà vederla allontanarsi verso un futuro di serenità.
Spielberg omaggia il cinema classico sia prendendo ispirazione da un film del 1943 con Spencer Tracy Joe il Pilota (1943) di Victor Fleming sia riportando alla luce quell’impressione di meraviglia propria delle favole dove cose incredibili accadono, i buoni salvano e sono salvi e l’amore trionfa; ma lo fa secondo il proprio gusto, assemblando Always – Per sempre come una costruzione personale che profuma di passato senza mancare di rivelare la mano consapevole del proprio regista. L’ingenuità che i detrattori potrebbero definire consapevole e pilotata dimostra invece come Spielberg dialoghi costantemente col cinema citando la sua funzione primordiale di muovere le cose e le persone in un ballo di gesti che nella realtà non è mai così ritmico. Ad un gesto di Pete, come nei film che lui ricorda, i musicisti partono con la canzone che desidera, poi i colleghi desideri di ballare con Dorinda corrono al suo ordine a lavarsi le mani richiamando atmosfere da commedia musicale mentre i voli in aereo vengono ripresi con la medesima potenza visiva delle incursioni aeree dei film di guerra. Il citazionismo di Spielberg non è però fine a se stesso, perché convive con la volontà del regista di adoperare praticamente l’immagine cinematografica senza ridursi ad aderire passivamente a un immaginario preesistente. Qui ricreare lo stupore del cinema significa tanto mettere in scena quelli elementi narrativi che coinvolgono lo spettatore, quanto adattare lo sguardo a immagini straordinarie. Se dunque Always – Per sempre appare ingenuo, datato, puerile e scontato lo è nella misura in cui ripropone un cinema che riconosciamo benissimo, il primo che abbiamo conosciuto, la base primordiale: il cinema della meraviglia.