Il mistero della casa del tempo
Un film che sembra uscire da un mercatino dell’usato di una città periferica, e dona un Eli Roth quanto mai misurato e coerente.
Ancora una volta si avvicina quel periodo dell’anno in cui le generazioni degli anni ’80 e ’90 si dedicano alle nuove visioni dei vari Jumanji, Gremlins, I Goonies, Hocus Pocus ed Explorers, avventure fino all’ultimo respiro e metafore di un percorso di formazione da intraprendere e di traumi da affrontare. Negli ultimi anni, in piena epoca di quella che è stata già definita tecnostalgia, è tornato di moda un preciso approccio al materiale filmico, del quale in particolare si è reso protagonista lo stile Amblin (semplificando, quel catalogo di storie in cui eventi straordinari ed orrorifici cambiano la vita di persone quanto mai ordinarie ma ancora in grado di sognare). Di qui il moltiplicarsi sul grande schermo di titoli come Super 8, Piccoli brividi, il prossimo Monster House, ritorni in grande stile del desueto e del fuori tempo massimo di cui Il mistero della casa del tempo è evidentemente figlio (del resto è prodotto dalla stessa Amblin Entertainment).
Ciò che coglie di sorpresa in un progetto come questo è il fatto che in cabina di regia ci sia Eli Roth, enfant prodige del torture porn nonché protegee di Quentin Tarantino. Quindi, non esattamente il primo nome che verrebbe in mente qualora si pensasse ad una commedia dai toni oscuri pensata per adolescenti. Dalla totale autarchia creativa di Cabin Fever, capostipite dei wrong-turn movies, all’invasione domestica di Knock Knock fino, ancora, al passaggio alla Metro-Goldwyn-Mayer per la realizzazione del remake de Il giustiziere della notte. Che le dinamiche degli studios abbiano messo la museruola al cane sciolto dell’anti-Hollywood? Non proprio.
In un certo senso anche la casa che dà il titolo a questo film, che riunisce per la prima volta Cate Blanchett e Jack Black, è un ostello delle perversioni che viene invaso da un giovane innocente. Il racconto stesso si lega alla storia sanguigna d’Europa, ai fantasmi dei conflitti mondiali e dei traumi dei sopravvissuti (anche i clienti di Hostel, in fin dei conti, erano semplici fantasmi privi di identità persi ). In questo caso il giovane uomo in questione è Lewis, che dopo l’improvvisa morte dei genitori viene affidato in custodia allo strambo zio. Il ragazzo si reca, dunque, a vivere a New Zebedee, in una magione misteriosa i cui muri sono tappezzati di orologi di ogni tipo. Nella casa c’è molto altro di strano: Miss Florence Zimmerman (una vicina di casa sempre presente), mosaici che si animano ed un magazzino con centinaia di bambole e di marionette dallo sguardo vacuo. Ma soprattutto, la magione cela un’oscura verità relativa all’identità dello zio e allo snervante ticchettio che invade ogni stanza.
L’iconoclastia spietata e le baraonde divertite di The Green Inferno sono necessariamente ridimensionate. Il principale dono portato in dote da questo Il mistero della casa del tempo è un nuovo Eli Roth, meno scatenato ma più attento alla coerenza ed alla compattezza del prodotto filmico. Allo stesso modo anche il tradizionale personaggio interpretato da Jack Black subisce un trattamento; da School of Rock in poi (con l’apice raggiunto ne I fantastici viaggi di Gulliver), il personaggio di Black è sempre stato un gigante intrappolato in situazioni soffocanti che tarpavano ogni sua aspirazione sottomettendola alle logiche della ragione. Qui invece anche la carica anarchica dell’attore americano ne esce ben controllata ed al servizio del racconto.
Oltre che svelare un approccio classico e consapevole, Roth dimostra di sapersi destreggiare bene con l’immaginario di genere, e di aver fatto tesoro degli effetti speciali “meccanici” dei suoi precedenti film. Qui infatti convivono effetti visivi e trucchi magici ben più tradizionali, che contribuiscono ad alimentare la sensazione di anticaglia. Il gusto retro è restituito dalle scenografie del film ma anche da un alone di mistero (come non restare terrorizzati dal racconto sulla guerra in Europa e dall’apparizione di un demone tra i boschi teutonici?) che bilancia la componente narrativa volta direttamente ai più piccoli.
Nella sua classicità di fondo, non stentiamo a credere che Il mistero della casa del tempo possa imporsi con prepotenza nell’immaginario collettivo dei più giovani e fungere da fiaba oscura che scuota le coscienze intorpidite da film-replicanti. In fin dei conti, gli ingredienti che hanno donato le fiabe al tempo del mito ci sono tutti: un bimbo in fuga e il suo percorso di crescita, una magione piena di segreti in cui cercare di risolvere l’enigma, il cattivo di turno che si è perso nella foresta nera della propria mente e due buoni amici che rendono più dolce convivere con il dolore. Probabilmente, la nostra è una semplice utopia. Ciò che è certo è che Eli Roth è più vivo che mai.