Ha la forza e il carattere di un Haiku il nuovo film di Hirokazu Kore'eda, Little Sister, nominato alla Palma d’Oro a Cannes. Anche la trama, proprio come un Haiku, potrebbe essere racchiusa in pochi versi: tre sorelle, che alla morte del padre, accolgono nella loro casa la piccola sorellastra. La giovane Sozu (Sozu Hirose) entrerà lentamente nella famiglia delle sorelle maggiori: Sachi (Haruka Ayase), Yoshino (Masami Nagasawa) e Chika (Kaho), costrette a vivere senza genitori da quando furono abbandonate dalla madre, dopo che quest’ultima venne lasciata dal padre. Sachi ha subito assunto molto seriamente il ruolo di sorella maggiore, sorvegliando le altre con apprensione e rigidità. Le tre piccole donne, profondamente diverse fra loro, sono cresciute nella grande casa della nonna, fra i giardini di Kamakura, antica cittadina poco distante da Tokyo.
Il racconto nasce dai manga di Umimachi’s Diary, del quale Kore'eda ha modificato il punto di vista. Se nella graphic novel il centro della narrazione era costituito dalla sorella minore, nel lungometraggio emerge con forza anche la sorella maggiore. Sulla scia del precedente Father and Son (2013), Little Sister si inserisce coerentemente nel filone narrativo che il regista giapponese aveva avviato con Nobody Knows nel 2004, dopo il grande successo di After Life del 1998, e il suo progressivo avvicinarsi ad un cinema intimista, affezionato ad una dimensione familiare. Il trait d’union è quello dei drammi sociali, storie che coinvolgono famiglie in qualche modo mutilate: dove un membro è venuto a mancare, dove l’assenza viene colmata da una nuova presenza, o dall’accettazione dell’assenza che si fa a sua volta nuova presenza, nuova luce e nuova linfa vitale. Little Sister è un racconto al femminile, molto diverso dal precedente lavoro, incentrato invece su ruoli maschili e sull’indagine della paternità. Kore-Eda, mantenendo la sua consueta gentilezza e discrezione, si avvicina con ancor maggiore cura nel misterioso mondo femminile. Ne emerge un racconto lieve, delicato ed elegante, denso di grazia e poesia, che spiega la vita attraverso la morte, l’accettazione attraverso l’assenza. Ancora una volta, nel suo studiare le diverse fisionomie delle famiglie, il regista delinea con toni tenui il lento mutare delle dinamiche, il naturale evolversi delle relazioni che si modellano come argilla, e come acqua arginano mancanze, riempiono lacune e danno un senso al dolore. Potremmo dire di assistere al lento inserimento di Sozu nella casa, nella scuola e nella vita di Kamakura dal punto di vista del padre defunto, e con la stessa discrezione del padre spiamo queste ragazze nella loro quotidianità. E’ la morte del genitore che porterà Sozu nella vita delle sorelle, e aiuterà sia Sozu che Sachi nel loro processo di accettazione: Sozu accetterà la propria esistenza nonostante la sua nascita abbia generato dolore nella vita delle sorelle; Sachi accetterà il padre grazie all’amore che nutre per la sorellina.
Quest’evoluzione è descritta attraverso un susseguirsi di momenti lievi e candidi, una perenne immersione in un mondo orientale fatto di dettagli e origami, dove tutto è delicato come la carta velina, dove la quotidianità è scandita dal cibo, che diviene il fulcro della narrazione, come un elemento sacro e misterioso: si mangia, si cucina, si scambiano ricette, si preparano liquori di continuo, donando un pizzico di convivialità e ritualità al lento scorrere del tempo. Little Sister rispecchia la stessa delicatezza di un popolo che scandisce il tempo sul ritmo della fioritura dei ciliegi. La spiaggia, l’albero di prugne in giardino, le passeggiate in montagne e quelle in bicicletta, i fuochi d’artificio e le ricette di pesce, s’inseriscono in una cornice armoniosa composta dal corpo esile delle quattro piccole donne che in un altro tempo e in un altro spazio ricordano le sorelle della Alcott, quelle Piccole Donne costrette a crescere in fretta e a confrontarsi costantemente con le proprie diversità. Fra risate e scontri, cuori infranti e piccoli segreti la vita a Kamakura assume i toni di un elogio alla bellezza della vita mentre tutto sfugge. Come in una lenta passeggiata in riva al mare, con il vento fra i capelli e i piedi nell’acqua, la pesantezza della vita può lasciare il posto alla leggerezza di una risata.