Ieri/oggi – Speciale Howard Hawks: Scarface
The world is yours: ascesa e caduta del Sogno Americano nel film apice del gangster movie classico e primo capolavoro di Hawks. Puro cinema.
Inizia tutto da un’ombra, una silhouette che entra in campo silenziosa, pistola alla mano, il corpo in piedi dietro una porta a vetri. Il braccio si solleva, arriva uno sparo. E da qui a seguire altre ombre e vetri infranti, macchine che si rincorrono nella notte sgommando sull’asfalto umido, tra esplosioni e cadaveri abbandonati nelle strade, lampi e nuvole di polvere da sparo. Ogni cosa è in movimento, innescata da un dinamismo che non conosce requie. Cos’è il cinema? Secondo Howard Hawks è il ghigno di Tony Camonte, smorfia sul volto e mitragliatore Thompson tra le mani, quando urla e spara proiettili di luce, 24 al secondo, dritti in faccia allo spettatore. Perché il cinema è movimento, è suono e immagine che ci rincorrono e mordono le caviglie, la schiena, il collo, mozzandoci il fiato un fotogramma alla volta. Scarface è il film che con Piccolo Cesare e Nemico pubblico completa nei primi anni Trenta la triade del gangster movie classico; pressoché indipendente, è prodotto da Howard Hughes senza l’intervento dei grandi studios. Ed è il terzo lavoro sonoro di Hawks, il suo primo capolavoro; puro cinema.
Scarface nasce dalla volontà di Hughes di cimentarsi nel filone del gangster film; di più, Hughes voleva produrre il più spettacolare film gangster possibile, ispirandosi alle gesta criminali di Al Capone a Chicago. Questo malgrado il successo dei film di William Wellman e Mervyn LeRoy, che più di tutti avevano polarizzato l’attenzione del pubblico e sembravano aver saturato il genere, e nonostante l’influenza crescente esercitata dall’ufficio del censore Hays, che prima ancora del 1934 (inizio effettivo del Codice) imponeva tagli, riscritture, modifiche nei titoli, accusando questi film di glorificare il crimine con racconti amorali che rendevano il gangster una figura affascinante e carismatica. Per riuscire nell’impresa Hughes pretende Hawks, e leggenda vuole che l’accordo fu raggiunto dopo una lunga partita di golf, durante la quale fu accantonato l’astio e una precedente causa legale che contrapponeva i due uomini; di fatto Hawks prende in mano il progetto, lo co-produce e collabora alla stesura della sceneggiatura assieme al premio Oscar Ben Hecht, che nel genere aveva già primeggiato firmando l’Underworld di Joseph von Sternberg. Il risultato è un film che entra nella storia del cinema per come definisce e padroneggia, all’insegna del dinamismo, del sonoro aggressivo, del carisma violento e ambiguo del personaggio, il nuovo linguaggio cinematografico, combinando creatività registica e spessore drammaturgico. Scarface infatti arriva sulla scena quando altri prima di lui avevano codificato le regole del genere, lambendo le note del tragico e del mito, e per questo Hawks ha maggior libertà registica rispetto ai suoi predecessori. Tra cronaca e immaginario si era stretta già un’intessitura simbolica ben nota al grande pubblico, per cui il gangster era diventato immediatamente (e in realtà fin dalle pagine dei giornali) l’incarnazione dell’individualismo americano inteso come pratica affaristica di ascesa sociale e conquista di un ruolo identitario da opporre all’anonimato centripeto della nuova società di massa. Attraverso il gangster movie, il nascente studio system aveva trovato un modo per sublimare alcuni dei processi che stavano trasformando la società americana, come «la forte urbanizzazione, il mito controverso della metropoli come minaccia e come promessa, la trasformazione dell’industria, l’evoluzione dei singoli gruppi etnici, l’esplosione del consumismo e la più larga disponibilità di beni prestigiosi» (Renato Venturelli). Il gangster incarna la grande contraddizione della nuova metropoli moderna, scissa tra la forza libidica e amorale del nuovo capitalismo dei consumi e l’alienazione che tende ad assorbire l’individuo, appiattendolo e riducendolo a una sagoma tra le tante (La folla di King Vidor è del 1928).
Coscio di questo portato simbolico, Hawks costruisce un personaggio che sogna di scalare la vetta e ne paga le conseguenze, afflitto da una tara tragica nel sangue (l’eco della corruzione famigliare dei Borgia nell’attrazione morbosa per la sorella), sovreccitato, amante del meccanico e della velocità, e comunque terrorizzato dalla fine, vissuta non tanto come morte quanto come solitudine eterna. Ma i toni più cupi del film sono sempre bilanciati da iniezioni di grottesco, come se fosse questa cifra farsesca, che disinnesca il dramma e mina di fatto il compiersi pieno della tragedia, il vero sfregio del personaggio, la sua sconfitta più profonda. Il tutto all’interno di un’impalcatura che bilancia le nuove necessità di denuncia morale con l’invenzione cinematografica più libera e sfrenata, al confine con il manierismo (il ripetersi delle X nei momenti di violenza) ma sempre comunque efficace, entusiasmante, nuova. Scarface è grande cinema anzitutto per questo, per l’intensità magnetica delle trovate registiche di un cinema che di colpo scopre nuove potenzialità spettacolari ed espressive. E la visione è ogni volta magnetica, sorprendente, vitale.