Parigi, 13Arr.

di Jacques Audiard

Un'educazione sentimentale dal sapore ferroso, eppure gioiosa, puntellata di note stridenti e di sprazzi di luce. Jacques Audiard svia dalla matrice più violenta del suo cinema ma ne riconferma la sostanza, tornando a interrogarsi sul ruolo degli affetti in un mondo instabile e sradicato.

parigi 13arr. - recensione film audiard

Émilie. Un lavoro sul filo del rasoio in un call center, un appartamento non suo e, da qualche parte, una madre con cui i rapporti si riducono a tese telefonate. C’è anche una nonna, quasi dimenticata, vera proprietaria dell’appartamento, lei stessa dimentica di sé a causa dell’Alzheimer. Émilie cerca un inquilino. Si presenta Camille, professore di letteratura ben presto improvvisato agente immobiliare per aiutare un amico. Émilie si innamora di Camille ma non è ricambiata. Non subito. Poi c’è Nora, trentenne tornata all’Università per completare studi che non avranno una conclusione. Anche lei ha una storia con Camille, prima però di conoscere Amber, dolce e brillante camgirl. Vite di trampolieri tutto sommato assuefatti alle cadute, ma comunque vite pulsanti, amalgamate a uno dei distretti più globalizzati e utopistici di Parigi, il turrito Les Olympiades del 13th Arrondissement da cui il titolo dell’ultimo film di Jacques Audiard

Il detour dal polar e dalla matrice più violenta del cinema di Audiard non fa che riconfermare la sostanza del suo cinema. Le sue storie sono sempre storie sulla ricerca di una stabilità in un reale instabile, di identità sradicate, dell’inizio di una nuova vita dopo avere a lungo sopravvissuto; interrogativi aperti sul ruolo degli affetti come àncora cui aggrapparsi, quindi, sul concetto stesso di famiglia. Audiard non ha mai smesso di filmare, con sguardo hobbesiano, la liquidità di un tessuto sociale e umano cedevole che non fornisce appigli sicuri ai suoi personaggi, in cui il diritto del più forte ha solo trovato forme più evolute e ambigue per prosperare. Da qui l’importanza degli spazi e dei luoghi contradditori, spesso concentrazionari, del suo cinema, frutto di un razionalismo spaziale che si trasforma in jungla d’asfalto, dall’ufficio di Sulle mie labbra alle banlieue di Dheepan, passando per il carcere de Il profeta. Con Parigi, 13Arr. Audiard gira, in modo dichiarato, un film di spazi e del modo in cui questi definiscono le relazioni tra i corpi e i cuori che vi abitano. Una love story in bianco e nero, una rom-com in cui Ophüls e Rohmer vengono riletti ai tempi della globalizzazione. Il regista guarda infatti a quella generazione che è l’immagine di uno sradicamento identitario e sociale, cerniera tra un mondo di padri e madri con un sistema valoriale e relazionale ormai lontanissimo e un futuro ripiegato a eterno istante presente, da bruciare subito.

Sesso, lavoro (o quel che ne rimane), legami parentali, divertimento, incontri, tutto si consuma nel 13° distretto, tutto è consumo. Il sesso viene prima delle parole perché in fondo è un modo per aggirare il confronto, per non confessarsi la paura di un futuro che non si intravvede in un presente protratto, nell’illusione di colmare il vuoto che forse non si ha più nemmeno il tempo di avvertire; la famiglia può essere un relitto distante, un’alterità, più che un’eredità, piegabile, come fa Émilie, alle logiche del calcolo. Si cambiano partner e lavoro, da una precarietà all’altra, con la stessa rapidità e leggerezza con cui si scarta la richiesta di un pretendente su Tinder, sempre al sicuro, in uno spazio virtuale dietro a uno schermo, sia esso reale o metaforico, per ridurre il contatto, mentre l’incontro più significativo può nascere in una chat temporizzata, in cui bisogna pagare per proseguire la comunicazione. Ironia della sorte, proprio due identità irrisolte come Camille e Nora, per vivere lavorano in un’agenzia immobiliare, vendendo stabilità a chi, a differenza loro, può intravvederne una. Chi è ancora alle prese con un presente in fuga da sé stesso sopravvive offrendo progetti di vita agli altri, mentre le geometrie urbane di Les Olympiades si rivelano nel loro frustrato tentativo di fornire un’utopia di ordine e sistematicità al caos delle esistenze che vi abitano, finendo con il diventare la rappresentazione topografica di quest’ultime.

Lo sguardo di Audiard non si è certo intenerito. In Parigi, 13Arr. i rapporti umani sono ancora il campo di battaglia di una guerra eterna. Ma questo non fa di Audiard un moralista. Sostenuto in fase di scrittura dalla sensibilità di Céline Sciamma (vedere soprattutto il rapporto tra Amber e Nora) e di Léa Mysius, ispirato da alcuni fumetti di Adrian Tomine, il regista francese non giudica mai i suoi personaggi, non ne addita meschinità e cinismi, ma ne lascia brillare le pulsioni, il fermento, la brama di vita. Parigi, 13Arr. è dunque anche un film sul desiderio, sulla sua complessità e sulla sua ambiguità, quel desiderio che è al tempo stesso veicolo per la realizzazione del sé e strumento di asservimento consumistico. Non una favola edificante sulla forza dei sentimenti, ma un’opera dal sapore ferroso, eppure gioiosa, puntellata di note stridenti e di sprazzi di luce, che si muove tra contemporaneità e universalità. Un’educazione sentimentale in tempi tutt’altro che saldi, in cui Audiard torna a interrogarsi, senza idealismi e patemi ma con l’energia di chi sa ancora dove cercare la luce in un mondo in pezzi, sulla forza che tiene uniti due esseri umani, su cosa significhi costruire un rapporto profondo e sopravvivere alle spinte disgregatrici, e quindi sulla necessità di stabilire un contatto, soprattutto oggi, provando a immaginarsi, attimo dopo attimo, un futuro.   

Autore: Riccardo Bellini
Pubblicato il 17/05/2022
Francia, 2021
Durata: 105 minuti

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