The Yards
Un racconto di famiglie e riunioni familiari, il film più disperato di James Gray che tra Scorsese e Coppola continua a guardare alla magia del cinema di un tempo.
«So di non essere il figlio che volevi. Speravo di riuscire a rigare dritto, l’avevo promesso a me stesso. Ho sbagliato in passato, ma stavolta no. Non ho ucciso io quell’uomo. Lo so, non avrò mai l’opportunità di redimermi, ma volevo solo che tu lo sapessi. Non sono stato io mamma…»
Leo è un figlio perduto, senza padre, cresciuto “nella legge della strada” e poi abbandonato. E allora se la giustizia terrena non esiste e quella divina è un interrogativo che lacera perennemente il cuore, non rimane (dostoevskianamente) che cercare la redenzione negli occhi di chi si ama. A Leo importa solo che sua madre sappia che “non è stato lui”… e tutto il resto si fotta nel mare della corruzione o nel nero dell’inquadratura che divora corpi e anime della big city.
The Yards è il secondo film di James Gray dopo l’incredibile exploit giovanile di Little Odessa. Un film maturato nel tempo, pian piano, uscito dopo sei lunghi anni e basato su un reale fatto accaduto a New York negli anni ’80.
Ci siamo: il ragazzo è seduto su un treno della Metro dopo essere stato scarcerato per una condanna di furto; a casa lo aspettano i suoi cari per una festa a sorpresa funestata dal black out premonitore. Leo porta con sé il buio, quindi, trascinando il film in un cuore di tenebra coppoliano proprio come se Gordon Willis stesse ancora fotografando la vecchia New York de Il Padrino. E si torna a Coppola, certo. Perché Leo è anche un portatore sano del cinema che Gray ama e brama, con i segni e i corpi di quella stagione irripetibile che ritornano per testimoniare una rinnovata urgenza: le icone New Hollywood James Caan, Faye Dunaway, Ellen Burstyn sono i genitori ideali di Mark Wahlberg, Joaquin Phoenix e Charlize Theron, ossia di una generazione di star nascenti che avrebbe portato sulle spalle proprio quella pesantissima eredità. Leo è tornato nel quartiere adesso. Lo zio/padrino James Caan (imprenditore edile che si sporca le mani in una babele di corruzioni inestricabili) gli consiglia di restare a galla, nella legalità, ma il “fratello” della strada Willie lo vuole con sé a gestire gli affari sporchi, con vestiti firmati e occhi spenti dal peccato. Leo è lì nel mezzo, non ha il tempo o la prontezza per decidere… e paga il suo conto: allo scalo, nel The Yards, un vigilante viene ucciso e un poliziotto gravemente ferito. Leo fugge, ma il mondo intorno gli addossa ogni colpa… è di nuovo solo.
E allora sì: è un cinema di famiglie e riunioni familiari quello di James Gray. Un cinema di amori impossibili e di primi piani affettivi, di sguardi che travalicano le inquadrature e di pericolosi abbracci fraterni, di ancestrali colpe da redimere e di contingenti ferite da curare. I personaggi di Gray sembrano venire sempre da un passato che ci appartiene come collettività, ossia da un cinema che li sapeva comprendere e che oggi li fa solo sopravvivere per testimoniare. Ecco che i sontuosi dilemmi morali coppoliani (impressionante il debito immaginario di questo film con Il Padrino parte II) o le proverbiali rabbie represse scorsesiane (le Mean Streets rosso fuoco balenano in squarci ferini) scendono ad altezza d’uomo e si impastano alla quotidianità delle intime storie di quartiere. Raccontando di personaggi al limite non più redenti da uno stile moderno e barocco, ma restituiti senza esitazioni all’epica del classico e alla sua trasparente nostalgia. Ed è in questo sublime scarto, in questo incedere doloroso verso i cancelli del cielo, che il cinema di Gray diventa sottilmente ciminiano (del resto i debiti con Cimino, oltre a quelli più evidenti con Coppola e Scorsese, sono ampiamente manifestati nel successivo Civiltà perduta).
The Yards, insomma, è il film più disperato di James Gray. Quello dove l’amore non viene sublimato in un Two Lovers e quello dove le tenebre non vengono illuminate da un “ti voglio bene” oltre I padroni della notte. Il film dove le ferite non si rimarginano e dove la purezza di Charlize Theron (magnifica qui!) viene anch’essa risucchiata dal vampiro Joaquin Phoenix e dal suo annichilente primo piano nel buio. Ma Leo brama ancora la luce, a tutti i costi: scappa, lotta, viola le leggi della strada e si (con)danna solo per essere redento agli occhi di una madre in lacrime. Proprio come il cinema di James Gray, figlio di padri troppo grandi e ormai lontani, che concepisce solo la sua fragile umanità come argine a ogni sconfitta immaginaria. Meraviglioso.