Il ragazzo che diventerà Re
Joe Cornish guarda al mondo pre-adolescienziale e imbastisce un’avventura edificante che ben si addice all’attivismo giovanile di questi tempi, ma dal regista di “Attack the Block” era lecito aspettarsi qualcosa di più.
Pubblico negletto quello formato da spettatori in età pre-adolescenziale, specie se parliamo di cinema del fantastico. Tolti i periodici film d’animazione – alcuni dei quali, comunque, pensati per un target più adulto – resta davvero poco al cinema per i bambini che vanno dagli 8 ai 13 anni, fascia d’età che si pone al confine di quell’esplosione narrativa teen che li sfiora appena senza coinvolgerli pienamente. Sale e librerie sono invase ancora dagli echi del successo di Twilight, ma per quanto riguarda i bambini è dai tempi dei primi Harry Potter che non si vede un prodotto commerciale forte pensato appositamente per loro. È in questa disparita – narrativa e commerciale – che si pone Il ragazzo che diventerà Re, fiaba arturiana dall’afflato fantasy e dalla morale cristallina, racconto di formazione classico e immaginifico che ben si addice all’attivismo giovanile e ambientale di questi giorni.
Scritto e diretto da Joe Cornish, che aspettavamo di nuovo in sala dal 2011, quando uscì il delizioso Attack the Block – Invasione aliena, il film è un tentativo di aggiornare la figura immortale di Artù all’attuale momento storico per mettere in risalto l’importanza di avere leader nobili e sicuri che guidino la comunità. Il ragazzo che diventerà Re mette in campo tanti elementi del Ciclo bretone, da Excalibur alla Tavola rotonda, ma quello a cui guarda Cornish è il cambio generazionale che coinvolgerà le prossime istituzioni europee. Attraverso spade invincibili, magie e creature infernali, il film cerca di promuovere la consapevolezza degli uomini di domani, di cui si sottolineano le responsabilità individuali ma soprattutto le capacità di incidere attivamente nella vita della comunità. Nobili intenti, dai quali però Cornish ricava un film che convince a tratti, sbilanciato nella scrittura e poco incisivo dal punto di vista visivo. Salvo l’ultima mezz’ora, gran finale che accende l’emozione e regala sequenze molto suggestive, Il ragazzo che diventerà Re non riesce a trasformare la reinvenzione del mito in magia sullo schermo; limitato anche da un budget non adeguato, il film cerca di compensare calcando l’aspetto formativo che coinvolge tutti i personaggi, ma viene a mancare un senso dell’epica e del fantastico che possa valorizzare e rilanciare quella crescita morale. In particolare la parte centrale sembra affossarsi per l’assenza di idee; qui il confronto con la figura paterna da parte del protagonista si risolve in un nulla di fatto, mentre tutta l’emozione viene demandata con troppa facilità al grande finale.
Un peccato, perché l’operazione pensata da Cornish (comunque in parte riuscita) è esattamente la cura contro il cinismo di cui oggi abbiamo bisogno; non avremo un altro cult come Attack the Block, ma Il ragazzo che diventerà Re resta un racconto fantastico che senza pudore si pone al livello del suo pubblico così giovane, bambini insicuri e assetati di magia di cui corteggia la fantasia e il senso morale tenendogli la mano, affinché in futuro possano a loro volta volgerla a favore di altri. Proprio come farebbe un cavaliere arturiano, proprio come può fare un vero leader.