EROTIC THRILLS - L'ultima seduzione

di John Dahl

Il neo-noir secondo Dahl è pura finzione; è fantascienza. È un inganno e un artificio che mette alla berlina la rigidità del genere e dei generi, che sfrutta i tópoi facendo finta di assecondare le certezze, ribaltandole.

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[Questo articolo fa parte di uno speciale monografico dedicato alla figura eversiva, politica, erotica della femme fatale, nato dalla convinzione che «l’immagine, ancor più se sessuale, è sufficiente a creare una narrazione (dei generi, del pensiero, della cultura, del mercato)». L’immagine crea, e il cinema «fa ancora la differenza», nonostante tanta parte del contemporaneo sia volta oggi alla produzione di immagini-corpo depotenziate, depauperate, inviluppate di teoria e rivendicazione intellettuale desessualizzata. Incentrato sul neo-noir (dal revival postmoderno di Brivido caldo all’eccesso parodico di Sex Crimes), questo speciale nasce come risposta a tale condizione imperante e prende corpo da un testo specifico, Brivido caldo – Una storia contemporanea del neo-noir, di Pier Maria Bocchi. A lui abbiamo chiesto un’introduzione, che potete trovare qui, in cui vengano tracciate le linee guida del nostro lavoro, per una riscoperta del potere eversivo del desiderio].

In un contesto ben definito come il neo-noir a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, quella di John Dahl è una figura che merita certamente un piccolo approfondimento a parte in quanto uno dei pochi registi, almeno tra quelli emersi nel periodo (l’esordio come sceneggiatore è del 1987), ad aver fondato la propria produzione su un’appartenenza identitaria al genere che non trova molti altri termini di paragone. In questa ottica si può quindi leggere L’ultima seduzione come l’ideale prosecuzione di un percorso iniziato con i precedenti Uccidimi due volte (1989) e Red Rock West (1992), che già lasciavano intravedere un disegno postmoderno intenzionato non tanto a rilanciare il neo-noir, quanto piuttosto a esasperarne i contenuti e le forme. Soprattutto Red Rock West si poneva infatti come il tentativo – in buona parte riuscito – di tirare le somme di un immaginario radicalizzandolo attraverso i volti (il tris lynchiano Nicolas Cage/Dennis Hopper/Lara Flynn Boyle), i luoghi e le situazioni, in una sorta di Detour grottesco e deformato che però non aveva nulla a che vedere né con il classico né con i classicismi. In buona sostanza, Il cinema di Dahl sembra fatto apposta per far storcere il naso ai puristi: inverosimiglianza generale, apologia del colpo di scena, forzature narrative e sovrabbondanza di coincidenze nel plot non sono quindi difetti dettati da una superficialità di scrittura, ma un obiettivo vero e proprio portato avanti con indubbia coerenza e non senza una giusta dose di ironia.  

E se il film del 1992 si chiudeva (eloquentemente) in un cimitero, L’ultima seduzione non può che ripartire con il medesimo spirito per spostare l’asticella ancora più in avanti, sfiorando di fatto i contorni della farsa. Con premeditazione e consapevolezza, però. Al terzo film, il primo in cui non sia accreditato anche come sceneggiatore, Dahl va avanti senza indugi e conferma uno dei suoi marchi di fabbrica più caratteristici: la sua visione del noir è dominata da uno sguardo attento al significato della geografia e degli spazi in relazione alle dinamiche di genere (basti pensare anche a Il giocatore, di qualche anno più tardi). Il deserto di Uccidimi due volte e Red Rock West lascia così spazio alla tipica cittadina di provincia (anche se non manca una breve parentesi nella Grande Mela), dove si può facilmente trovare il solito bar con il biliardo e le luci al neon, quello in cui ci si rifugia dopo il lavoro per sbronzarsi e per condividere le proprie miserie. Quindi il territorio di caccia ideale per la mangiatrice di uomini Linda Fiorentino, naturale evoluzione dei personaggi di Joanne Whalley e Lara Flynn Boyle dei titoli precedenti; meno iconica e sfrontata di una Catherine Tramell, forse appena più schiacciata dal peso della responsabilità che il ruolo le impone (si mangia nervosamente le unghie sul divano, prima di compiere i primi passi del suo disegno criminale) la sua Bridget Gregory è comunque il perno intorno al quale ruota un universo maschile obnubilato dal sesso e proprio per questo fin troppo facile da manipolare. Da un lato un marito imbelle (Bill Pullman), mollato su due piedi pur di non doverci spartire un bottino; dall’altro, il giovane ragazzo di provincia tanto esaltato quanto ingenuo (Peter Berg) che ha sposato un transessuale dopo una notte di bagordi e che, nel tentativo di mantenere immacolata la propria immagine di maschio virile, è costretto a venire a patti con la femme fatale, assecondandola in tutto e per tutto.

Neo-noir di pura scrittura e più radicale che mai nel pretendere la sospensione di incredulità da parte dello spettatore, coinvolto da un turbine di eventi che devono necessariamente incastrarsi alla perfezione fino al gran finale, L’ultima seduzione vede personaggi che pensano e agiscono (e scopano) in funzione del plot e mai viceversa, seguendo un percorso narrativo calibratissimo che non può lasciare spazio all’improvvisazione; così il piano suprematista della dark lady si trasforma in una sarabanda di corpi che, sottolineata anche dall’onnipresente partitura jazz in colonna sonora, muta a sua volta in una commedia surreale sui sessi e sulle relazioni di potere (Bridget uccide l’investigatore sulle sue tracce facendo in modo che venga ritrovato con il membro fuori dai pantaloni). Inflessibile nella progressione ma malleabile e informe nello spirito, il neo-noir secondo Dahl è pura finzione; è fantascienza. È un inganno e un artificio che mette alla berlina la rigidità del genere e dei generi, che sfrutta i tópoi facendo finta di assecondare le certezze, ribaltandole.

Autore: Giacomo Calzoni
Pubblicato il 21/04/2021
Gran Bretagna, USA 1994
Regia: John Dahl
Durata: 110 minuti

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