Lecce 2013 / Incontro con Aki Kaurismaki

Prima che arrivi, Aki Kaurismaki sta lì, nelle Ombre dal paradiso, foto di una mostra curata da Massimo Causo per il Festival del cinema europeo di Lecce (che al regista finlandese ha dedicato un omaggio fatto di scatti, film e incontri diversi, sorprendenti, kaurismakiani si direbbe). Ma prima che tutto questo avvenga ti puoi soffermare davanti ai ciuffi antigravitazionali dei Leningrad cowboys, alle spalle spioventi dei suoi mirabili miserabili, agli sguardi di attori smarriti proprio in quello spazio tra la macchina da presa e i loro occhi che per Kaurismaki è la pura essenza del cinema. Sei grato a te stesso per non esserti perso molto di questa cinematografia lunare e spiantata, per esserti meravigliato quando gli uomini erano senza passato irragionevolmente e miracoli spiegavano le proprie ali inspiegabilmente. E aspetti che Kaurismaki arrivi. Ed anzi tutti aspettano che Kaurismaki arrivi. Gli organizzatori si agitano, disperano per la verità che il regista arrivi puntellandosi su una sobrietà auspicabile ma che, in presenza della quale, Kaurismaki non sarebbe Kaurismaki e noi non saremmo qui ad aspettarlo come si aspetta un’epifania alcolica. “Non parlerà, parlerà poco” si va ripetendo come un mantra. Ma il signor K arriva. E parla.

K’s speech numero uno (conferenza stampa con Massimo Causo e il direttore del festival, Alberto La Monica)

Il soffio è quello acqueo della sigaretta elettrica (ma come?). Kaurismaki non fuma più o almeno così ci sarebbe da pensare dato che, come ogni buon finlandese, ha scelto di far fare la sauna alla sua bocca, un aerosol aromatizzato, rinunciando per sempre a quei bei geyser di nicotina che intossicano milioni di suoi fotogrammi. Ma la luce di questa sigaretta digitale è blu e si accende come “luci della sera” sull’umanità evocata da Causo insieme alla sorpresa di un cinema capace di trattare problemi urgenti, scottanti. Commenta Aki: “Io sono molto più di un regista, vado all’interno delle storie, continuo ad avere gli occhi aperti su questo mondo”, e aggiunge “i miei temi sono analoghi a quelli di Zavattini e De Sica”. E si entra nel territorio del cinema, facendo un passo indietro a quando era molto giovane e i cinecircoli erano una casa da abitare e le visioni un punto di non ritorno: “non mi sono ancora ripreso da L’age d’or“. “Per il cinema ci sono stati periodi buoni e periodi meno buoni… Ci sono stati Rossellini, Bergman, ora bisogna accontentarsi di ciò che c’è”. Guarda, pertanto, pochi film, rifugiandosi spesso in quelli di Fairbanks dove l’azione è azione. Proviamo con gli scenari apocalittici: “Se il mondo sta morendo perché non dovrebbe morire anche il cinema?”. E, se la pellicola scompare, “magari non girerò più, farò altro ma non l’elettricista ”(domani ritornerà sull’argomento ritenendo che “i film digitali sono film morti”). Piovono i seguenti assiomi: “Bisogna mantenere il proprio stile” e “Non si gioca col cinema”, e detto da lui ha il consueto gusto pieno del paradosso. Non vedremo prestissimo un suo nuovo film, purtroppo, ma se qualcuno fatalmente gli chiede se girerà in Puglia va di fantasia e risponde che grazie al vino salentino ci sta pensando, chiederà a Nanni Moretti e avrà Benigni, che sta tra Cary Grant e John Wayne, come professore. A un certo punto il gigante finlandese si alza, punta dritto un giornalista e fa finta di stritolarlo solo perché ha pronunciato la frase “quando era giovane”. Kaurismaki ha braccia e cuore grandi.

K’s speech numero due (incontro in sala condotto da Enrico Magrelli)

E’ sera e le parole scorrono molto meno prima della proiezione di Miracolo a Le Havre, che Kaurismaki definisce il suo “basic film, una favola”. Domani dello stesso film più generosamente dirà: “Ho pensato di assecondare il business del mondo cinematografico, se un lieto fine porta al cinema parecchi spettatori, mi son detto che un doppio lieto fine ne avrebbe portati due volte tanto. Ma, come accade spesso, non ho fatto bene i miei calcoli”. Ritornano i temi del film (“Credo che nessuno degli emigranti verrebbe in Europa se potesse scegliere”) e poi le immagini di questo capolavoro, un ardimento, una sfida e il coraggioso, mite, morale, chimerico apologo sull’umanità periferica.

K’s speech numero tre (incontro organizzato dal Sncci, moderato da Bruno Torri e Massimo Causo).

Alla terza puntata della rivelazione kaurismakiana gli ingredienti nocivi prendono il posto che devono sulla tavola dei veleni. Il ragionamento deve durare tre birre esatte che una dopo l’altra si schierano come soldati obbedienti al suo cospetto. Tre birre che trasforma in cannocchiali, quanto gli occorre per guardare lungo e sfidare continuamente il bordo delle parole con straordinari aforismi. E poi, sfratto improvviso all’aerosol elettrico e, finalmente, sigarette che allestiscono l’effetto speciale, quelle nuvole di fumo che riassumono tutta la retrospettiva in programma in questi giorni, in un attimo. Il gigante finlandese ha capitolato, sfida l’allarme antincendio. E scorre. La violenza nel suo cinema: “Odio da sempre la violenza in tutte le sue forme. La metto in scena senza che lo spettatore possa goderne”. La spiritualità nel suo cinema: “Vivere senza morale non è possibile e la morale non è possibile senza humour”. Oggi il suo regista più importante è il Bresson di Au hasard Balthazar ma anche, di nuovo, Rossellini “non l’ultimo, ma quello di Paisà e Roma città aperta amati profondamente perché sono film morali”. Figliolanze: “Sono contento di non avere figli perché sarebbe angosciante pensare al futuro che li aspetterebbe” e di se stesso dice ”sono figlio della luce”. La Finlandia: “Sono prigioniero della Finlandia nel bene e nel male” e “Il finlandese è un italiano che è finito nel posto sbagliato”. Un bellissimo ricordo di Fassbinder che è anche un ragionamento sulla vita e sulla morte e un pezzo di sceneggiatura che quasi esce, chiaroscurale, dalle sue dita ormai capitolate alla nicotina: “L’immagine migliore per me è formata da un uomo e una donna contro una parete. C’è la loro ombra dietro. Prima togli uno, poi l’altro. E, alla fine, restano solo l’ombra e la parete”. E lo dice da figlio della luce.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 20/01/2015

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