Tracce di esistenze, racconti di vite, del limite. Di riflessi e mancanze. Sembra essere questo, più di altri, il filo rosso che attraversa l’insieme dei film selezionati per l’Ulivo d’oro. Come confermano titoli quali Letter to the King e Lifelong. La lettera al re (di Norvegia) la scrive l’anziano Mirza. Vuole consegnargliela personalmente, ma non ce la farà a donargli quelle parole che sono soprattutto speranza, ancora, la domanda di un futuro, di una memoria per il suo popolo (curdo). Parole che diventano l’ideale abbraccio a stringere le diverse storie separate, parallele del film: un gruppo di persone, fra cui Mirza, appunto, in gita per un giorno a Oslo, lontane per qualche ora dal perimetro opprimente del campo profughi. Personaggi, interpretati da attori non professionisti, che diventano il sentimento delle vicende di cui sono protagonisti, fra amori, scoperte, frustrazioni, piccole gioie, smarrimenti, e vendette. Il regista, Hisham Zaman, curdo cresciuto in Norvegia, realizza un’opera tra dramma e commedia, disegna una composizione di umori, di sguardi differenti, conferendo anche un certo equilibrio all’insieme, fra la dolcezza, l’ironia e punte più aspre, una vicinanza a tutti suoi personaggi, una comprensione per tutti loro. Non è un grande film, ma ha una sincerità palpabile, vera.
Lifelong di Asli Özge si muove invece nella distanza che gradualmente si allarga nel matrimonio di Ela e Can, lei artista, lui architetto, entrambi di successo, che vivono in una delle zone più ricche di Istanbul nella casa progettata da Can. La regista, nata in Turchia nel 1975 e arrivata a Berlino nel 2000, qui al suo secondo film di finzione dopo Men on the Bridge, lavora soprattutto sugli spazi e le figure, sui silenzi, fa della donna il centro, il cedimento, e dell’uomo un riverbero, fa della messa in scena e delle psicologie due mondi quasi in sovrapposizione, fa delle immagini il tempo di uno svuotamento lento, di una fine. Film elegante, ma che si fa sentire più raffreddato che freddo, trattenuto, come un film che deve essere d’autore. Come quel “ho dimenticato di spegnere la luce di casa”, le ultime parole prima dei titoli di cosa, a guardare da una finestra il passato, a guardare l’amore che non c’è più.