Si aggiungono altri due titoli nell’itinerario del concorso europeo. Dal Portogallo arriva Bobô, della regista Inês Oliveira, classe 1976, già autrice del documentario Eating Your Heart Out – the Work of Rui Chafes and Vera Mantero e del lungometraggio di finzione Cinerama. Il film presente a Lecce cerca di penetrare tra il mondo chiuso di Sofia e la realtà, tra il sogno, o l’allucinazione, o un luogo (mentale) che resta segreto, e quello che accade intorno, che (le) rimane. Lei che vive da sola nell’appartamento di famiglia e all’improvviso si ritrova in casa Mariama, una ragazza della Guinea-Bissau, mandata lì dalla madre della giovane donna per poterla aiutare nella cura della casa e starle vicino. Dopo un po’ arriva anche Bobô, la sorellina di Mariama. Bobô che rischia la mutilazione genitale, antico rito praticato dalla comunità di appartenenza. Bobô che diventa figura possibile di uno svelamento, un punto di contatto tra le due donne, fra le lo storie, le loro vite. Cerca i movimenti e le pause, l’Oliveira, i suoi personaggi, cerca Sofia, cosa può essere, cosa può vedere o vivere, ricordare. Ma alla fine, stando dall’altra parte, a guardare quelle immagini, resta la sensazione di essere rimasti orfani della possibilità di poter toccare quel mondo, di desiderare, desiderare di più.
Altro film in competizione è il notevole Concrete Night, della regista Pirjo Honkasalo, esperta autrice di lungometraggi di fiction e di documentari, e presente in concorso a Cannes nel 1980 con Flame Top, diretto insieme a Pekka Lehto. Inizia nell’acqua e infine vi ritorna, Concrete Night, visionario,cupo, pessimista, disperato, in una Helsinki che fa paura dentro il bianco e nero. Un film come un incubo, come un abisso prodondo. Un film gelido, ma che fa male. Simo e Ilkka sono fratelli. Il primo ha 14 anni, è un’identità in costruzione. L’altro è più grande di lui, gli restano poche ore di libertà prima di finire in galera. Il loro vagare nelle strade della città, fra il giorno e la notte, diventa visione ipnotica, estrema, violenta. Simo è lo sguardo. È la paura e la morte. Simo, spiega Hokasalo, “incapace di distorcere ciò che vede, vede il mondo chiaramente così com’è. La vita è insopportabile se vista senza filtri. Gli esseri umani non possono vivere in quel modo. Essere adulti significa costruire muri per proteggersi”. Resta l’acqua, come un acquario, come possibilità, come l’unica protezione.