Oltre le nuvole, il luogo promessoci

di Makoto Shinkai

Il primo lungometraggio di Makoto Shinkai è la fucina di tutto il suo cinema successivo, una potente macchina desiderante e una elegia dei sentimenti.

Oltre le nuvole - recensione film Shinkai

Il nostro viaggio a ritroso nell’immaginario visivo e sentimentale di Makoto Shinkai culmina con un’opera enigmatica, a sua volta frutto di idee e ispirazioni lungamente meditate, fin dai suoi primi cortometraggi. Oltre le nuvole, il luogo promessoci è un atlante sentimentale ed esistenziale che, al netto di alcuni tratti stilistici e narrativi ancora non del tutto maturi, contiene in nuce l’intera poetica del suo autore.

Innanzitutto, Oltre le nuvole è una struggente poesia dedicata alla giovinezza. La breccia per uscire dal quotidiano, questa volta, è il desiderio di volare e di riportare in vita un arnese da guerra dal fascino leonardesco. Hiroki e Takuya sono all’ultimo anno di scuola media e, nel tempo libero, lavorano in un'industria bellica per acquistare il necessario alla riparazione del vecchio drone militare che hanno scoperto per caso. A loro si aggiunge la compagna Sayuri e il comune desiderio di spiccare il volo è il collante di un’estate senza tempo, calda nei colori e nelle emozioni.

Come spesso accade con Shinkai, sono le immagini e le tavolozze cromatiche a parlare: in questo caso, un paesaggio collinare lussureggiante, acque profonde che lambiscono le tracce della vita umana. Soprattutto, è un orizzonte dominato dal profilo sublime di una torre che, in lontananza, si slancia verso il cielo. Completano il quadro una serie di virtuosismi stilistici e giochi di luce che riportano lo sguardo dal contenuto alla forma con cui viene portato alla vita. Lo stile dell’autore è inconfondibile nella sua sovrabbondanza di dettagli e nella mimesi del linguaggio cinematografico che si esprime in lens flare, bokeh e altri giochi visivi. A questa estate tinta di nostalgia segue una separazione e una disillusione. Ma il passato non è mai del tutto estinto, e dei legami della giovinezza restano le tracce indelebili. A questo bivio, Shinkai sceglie di imboccare la strada dell’(u)topia romantica e della poesia del cinema come sogno, apertura all’impossibile e all’altrove.

La misteriosa torre edificata nell’isola di Ezo (Hokkaido) è il monumento a un Giappone alternativo a quello uscito dalla seconda guerra mondiale e all’ingombrante abbraccio dell’Occidente; è un abisso storico che minaccia, con la sua radicale alterità, di inghiottire il mondo al di qua della soglia. Verso la torre sono tese le traiettorie dei tre protagonisti legati da una promessa che non ha bisogno di ragioni. Nelle sue trame simboliche e nelle sue metafore visive, Oltre le nuvole si rivela come una potente macchina desiderante volta verso l’Altrove, come e più che in ogni altra opera dell'autore. Il suo sguardo obliquo e mediato è la condizione senza la quale tale sincerità non sarebbe possibile. La natura di questa torre cosmica è volutamente aperta: portale per una dimensione parallela, arma di guerra, spazio del sogno, chiave per avere una seconda possibilità e ricominciare da capo.

Ricominciare. Correggere errori irrevocabili e traiettorie già segnate, come quelle che incanalano l’energia dell’adolescenza nella rigida intelaiatura della vita adulta. Ne Il crisantemo e la spada, Ruth Benedict ipotizzava la duplice natura dell’identità giapponese, tesa tra l’inestinguibile nostalgia dell’infanzia (il luogo della libertà, senza la vergogna e il senso del dovere che sono la base della società) e l'inflessibile durezza dell’età adulta, il giogo del dovere. La forza di questa nostalgia è ciò che sembra avere spinto le prime opere di Makoto Shinkai verso la fantascienza e le sue vertigini. Ed è, forse, ciò che attrae e conquista gli spettatori italiani quanto quelli dell’Estremo Oriente: questo atlante delle emozioni e questa nostalgia ci dicono qualcosa di famigliare. Il volo di Oltre le nuvole, la catabasi di Agartha o l’oasi urbana de Il giardino delle parole sono forme di trasporto nel senso affettivo del termine: per riprendere la definizione Treccani, un «impeto, moto irresistibile, intenso stato emozionale». Al di là della destinazione, è il trasporto a costituire il cuore del cinema di Shinkai: che la destinazione, in fondo, sia solo un colossale McGuffin non è poi rilevante.

Conta, invece, che il viaggio sia un percorso per rendere possibile l’impossibile; per far toccare, per un attimo,mondi paralleli e fatalmente destinati a non incontrarsi mai. Quando, infine, l’incontro avviene, crisantemo e spada si confondono: il tempo si piega su se stesso e la prosa cinematografica si cristallizza nel puro tempo della poesia. Il tempo, sembra dirci Shinkai, è una ferita che si può rimarginare solo nei territori di confine.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 11/11/2019
Giappone, 2004
Durata: 91 minuti

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