Il sindaco del Rione Sanità
Adattando per la prima volta Eduardo De Filippo, Martone reinventa di nuovo il suo cinema ma non ne perde la cifra essenziale, la capacità di riscoprire la letteratura per parlare dell’oggi.
Storia di due città, di due mondi e ordini morali: della vita civile e borghese, che è legale ma anche ipocrita e avida; della vita criminale, spesso invisibile alla luce del giorno ma comunque trasversale e presente, geometrica nel suo esercizio piramidale della violenza e della giustizia morale. Da una parte c’è il padre di famiglia, Arturo Santaniello, panettiere in crescita grazie al duro lavoro ma in rotta totale con il figlio, la moglie ammazzata anni addietro per un colpo di pistola partito durante un regolamento di conti nelle strade; dall’altra Antonio Barracano, il Don, l’uomo di potere e fiducia da cui vanno tutti i poveracci e gli ignoranti e i criminali del quartiere, tutti coloro che vivono volenti o nolenti la Napoli malavitosa ma non hanno abbastanza soldi e potere e conoscenze da poter dire la loro sulla giustizia. Così il figlio di Arturo, Rafiluccio, disperato e determinato a uccidere il padre pur di riprendersi quanto gli spetta per diritto naturale. Ma prima di ogni gesto si deve appunto passare per lui, Don Antonio, che come il re Salomone autorizza e decide, si sostituisce a uno Stato che non c’è e rivendica titolo e doveri del giudice morale. Perché lui è Il sindaco del Rione Sanità.
Continua il corpo a corpo tra Mario Martone e la tradizione culturale italiana, quel confronto assetato di verità nuove e bellezze antiche, quell’interrogare i testi, letterari o teatrali che siano, che sono come tesori da riscoprire, voci potenti da riascoltare, testamenti da strappare allo studio polveroso della tradizione e ricondurre al qui e ora. È così che Don Antonio Barracano, vecchio boss di 75 anni creato dal testo di Eduardo De Filippo nel 1960, emanazione ottocentesca di un modo arcaico di intendere il potere camorristico e le sue irrisolte implicazioni morali, rinasce nel corpo trentottenne di Francesco Di Leva – bravissimo, e come lui tutti gli attori del collettivo NEST - Napoli Est Teatro con cui Martone portava sul palco nel 2017 l’adattamento che qui diventa cinema. Il sindaco del Rione Sanità infatti rispetta filologicamente il testo di De Filippo ma lo fa precipitare nell’estetica seriale di Gomorra, specchio di una contemporaneità in cui i boss sono ormai giovanissimi, la violenza dilaga e imbestia, gli abiti sono all’ultima moda e i colpi di pistola si alternano ai versi di una musica rap. Camaleontico, Martone trova per il suo cinema un modo nuovo e vitale di guardare al mondo che lo circonda, di cui evoca storture scomode e irrisolte, mostrando come i due volti di Napoli siano indissolubilmente legati l’uno all’altro. È un rapporto questo che tocca lo Stato e la sua assenza, le connivenze e le concessioni, i fallimenti, e che può risolversi solo temporaneamente con l’esercizio personalistico della giustizia.
Personaggio complesso quello di Don Antonio Barracano, sicuramente discutibile e figlio di una forma diversa di violenza, a cui De Filippo affianca con una struttura duale la figura del medico disilluso, amico di una vita e complice riluttante nel piano di gestione etica del territorio esercitato dal Don. Il dottore infatti è stanco di salvare criminali che ripetutamente, nonostante le indicazioni del Sindaco, tornano a esprimersi con la violenza e l’illegalità. Per questo, nella versione originaria di De Filippo, dopo che Barracano compie la sua ultima cena e si lascia morire per stroncare l’ennesima spirale di sangue e vendette, il medico contravviene alle indicazioni del Don e ne dichiara fallito il progetto, prospettando un’alternativa legale dai tempi certo più lunghi e sofferti ma dai frutti più duraturi. Martone invece, con quello che è l’unico intervento di scrittura sul copione originale, decide di tagliare questa decisione finale e lasciare l’opera in sospeso. Come se, dopo le utopie e le rivoluzioni messe in scena in Capri Revolution, non volesse sigillare del tutto il piano di Barracano e stroncarne così le ambizioni e i sogni pacificatori. Ma le tensioni morali sono ancora tutte lì, infiltrate nel sogno di giustizia e alimentate da un’ambiguità violenta e prevaricatrice.
Con quasi dieci lungometraggi e trenta anni di carriera cinematografica alle spalle, Mario Martone si conferma uno dei registi più importanti del cinema italiano, intellettuale nel senso più vitale e attento e creativo del termine. Il suo cinema, colto e sempre umanissimo, si reinventa ancora una volta e con Il sindaco del Rione Sanità scopre tempi impeccabili da commedia brillante, con un ritmo serrato che alterna battute e picchi drammatici mentre un lavoro attentissimo sui corpi degli attori valorizza ogni sguardo e piccolo gesto.