Galveston
L’attrice/regista francese Mélanie Laurent adatta il romanzo di Nic Pizzolatto trascinandoci in un road movie dall’aria greve, capace di immergersi nelle piaghe di un mondo sordido e nello squallore morale della natura umana.
L’attrice/regista francese Mélanie Laurent - al suo quinto lungometraggio dietro la mdp e già diretta da Tarantino in Bastardi senza gloria - lavora il debutto letterario di Nic Pizzolatto, autore e creatore dell’universo televisivo di True Detective, trascinandoci sin dalla scena iniziale nella natura inospitale del luogo, giù nel profondo degli Stati Uniti, a Galveston appunto, Texas. Qui percepiamo l’incombere di una violenta tempesta che scuote palme e infrange porte e finestre di una casa. Il mondo di Galveston è racchiuso tutto in questa immagine. Un mondo di rovine, disastri interiori e individui sbattuti violentemente dal vento di un destino implacabile, che da quelle parti sembra non dare scampo a nessuno.
Stacco ed ellissi: fine anni Ottanta, New Orleans. Roy (Ben Foster) è un sicario di professione, affetto da un male che lo sta lentamente uccidendo, in balia di se stesso e dei propri sbagli. Un individuo potenzialmente (auto)distruttivo, come l’uragano che vediamo nell’incipit. La gravità del paesaggio fa da contrappunto a un’umanità altrettanto rovinosa, composta da uomini di malaffare, killer spietati, piccoli criminali e giovani prostitute alle prime armi: un buon catalogo di anime perse e derelitte. É sulla strada del proprio personale fallimento, dopo aver scoperto di essere malato e apparentemente finito, che Roy trova la forza e la possibilità di guardarsi dentro grazie all’incontro con la diciannovenne Rocky (Elle Fanning), coinvolta in un giro di escort finito male, durante un’imboscata tesagli dal proprio boss che lo vuole morto. Rocky, come Roy, è alla deriva ed egualmente in fuga dal peso di un passato di miserie.
Inizia così - non prima di aver imbarcato a bordo anche la sorella più piccola della ragazza, strappandola agli abusi di un patrigno riprovevole - un road movie dall’aria greve, tra le strade assolate e le boscaglie nere del Texas che introietta su di sé gli accenti sanguinari del crime e quelli chiaroscurali e lividi del noir suburbano, capace di immergersi visceralmente nelle piaghe di un mondo sordido e nello squallore morale della natura umana. Con i suoi toni plumbei e le scene notturne il film affonda nell’oscurità dell’animo e lascia trasparire una realtà malata, un inferno privato dove ognuno cerca un modo disperato per salvare la pelle. Rocky e Roy sono dei sopravvissuti in questo mondo, sballottati dagli eventi, in cerca di un posto tranquillo, fuori e dentro di loro; laddove Rocky ha una vita davanti per riscattarsi a Roy rimane invece solo un incerto presente. La sua è la parabola classica dell’antieroe del noir, un uomo sconfitto, quasi un morto che cammina in un mondo di violenza. Totalmente disilluso e rassegnato a una fine ormai prossima ha, grazie a Rocky e la bambina, la possibilità di aggrapparsi a quel po’ di buono che gli è rimasto per espiare le proprie colpe, cercando per loro una salvezza che non può dare a se stesso e gettando così un ponte tra un passato di sfaceli e un futuro luminoso di speranze.
Il film della Laurent, sostenuto dall’ottima performance dei due attori principali - in particolare di Foster, una maschera impassibile di rabbia e dolore, tesissimo e muscolare - può vantare una regia equilibrata che si prende il tempo necessario ad emergere dal torpore di una certa convenzionalità per sparigliare le carte nel finale. È, infatti, nell’epilogo, aperto e quasi onirico, che il film, fino a quel momento soprattutto una storia abbastanza prevedibile di individui in fuga da se stessi e dai propri guai, trova finalmente respiro e slancio, trasformandosi nella definitiva pacificazione con il passato pesantissimo che i personaggi si sono portati appresso e sul significato del sacrificarsi per qualcuno. Qui l’uragano dell’incipit ritorna, con un balzo in avanti di vent’anni, a scuotere il protagonista ma come una forza liberatoria e quasi catartica.
Laurent mostra l’abilità e il coraggio di dare una forma al non facile mondo letterario di Pizzolatto, strutturando un racconto che visivamente sembra polarizzarsi tra le zone oscure dei propri tormenti e la solarità di certe scene - in particolare quella sulle spiaggia davanti all’Oceano - tra l’interiorità dei personaggi sempre sottaciuta (Roy) e la crudeltà del mondo esterno. Tra sofferta rassegnazione e speranza di futuro. Nessuna novità ma un film apprezzabile che pur con qualche schematismo di troppo, riprende sì un repertorio già visto ma in verità ne fa un racconto profondo e fortemente introspettivo sulla natura umana.