Tout est pardonné
Un esordio che mette subito in chiaro la personalità forte e matura di Hansen-Løve, la sua capacità di osare in punta di piedi, allestendo un racconto ambizioso che travalica tempi e luoghi.
Ce qui décline aujourd'hui, fatigué,
Se lévera demain dans une renaissance.
Bien des choses restent perdues dans la nuit
Prends garde, reste alerte et plein d'entrain!
Difficile commentare l’opera prima dell’allora ventiseienne Mia Hansen-Løve meglio di quanto abbia fatto l’autrice stessa, inserendo, a mo’ di lettera-testamento di un padre alla propria figlia, la poesia di Joseph Von Eichendorff scoperta proprio mentre stava ultimando la sua prima sceneggiatura. Il cinema della cineasta parigina sembra tutto racchiuso in questi versi: parabole umane di cadute e rinascite, irrequietezza dei sensi tradotta in una mobilità estrema eppure delicata, mai nevrotica, della macchina da presa, e una curiosità intuitiva per tutto ciò che sfiori il suo cammino.
Un esordio folgorante il suo: dopo aver recitato per Olivier Assayas in Fin août début septembre e Les déstinées sentimentales e girato una manciata di cortometraggi scolastici, il debutto nel lungometraggio nel 2007 arriva direttamente su una piazza prestigiosa come la Quinzaine des réalisateurs di Cannes. La ricezione critica è subito positiva e il film si aggiudica anche il premio Louis Delluc come miglior opera prima, insieme all’altro grande esordio dell’anno, il bellissimo Naissance des pieuvres di Céline Sciamma.
Storia garrelliana d’amore e d’eroina, Tout est pardonné è una scelta narrativa curiosa per un’esordiente, per certi versi anche superba, perché si appropria di età e punti di vista lontani, ma appare anche giusta nel percorso di vita della giovane sceneggiatrice e regista, approdata al cinema dopo studi di filosofia e una gavetta critica nei Cahiers du cinéma, in virtù di una letterarietà che continuerà ad accompagnarla anche in seguito. Scandito da tre atti, che fanno riferimento a città, Vienna e Parigi, e personaggi, l’adolescente Pamela, sguardo-ponte tra gli eventi passati e le eredità dei mondi distanti dei suoi genitori– Tout est pardonné mette subito in chiaro la personalità forte e matura di Hansen-Løve, la sua capacità di osare in punta di piedi, allestendo un racconto che travalica tempi e luoghi.
Si parte, appunto, nella capitale austriaca, con il pedinamento di una giovane coppia, Victor e Annette, e della loro bambina Pamela: i rituali familiari, i pranzi dai parenti, le gite al parco e poi gli strani détour del padre, che iniettano pian piano nella cornice serena del quotidiano quelle note dissonanti destinate a deflagrare nella seconda sezione dell’opera. Dalla luminosità en plein air di Vienna agli asfittici interni parigini, l’atto centrale è tutto un susseguirsi di stanze, corridoi, scale buie e vicoli che avviluppano le passioni e le ossessioni, gli attimi di breve estasi e disperazione, con un lavoro sui corpi che lambisce quello, inarrivabile, del J’entends plus la guitare di Philippe Garrel. Ma è nel terzo e ultimo atto che il film mostra l’avenir, ciò che il cinema di Mia Hansen- Løve sarebbe diventato negli anni. Con un salto temporale di sette anni, è Pamela ora il cuore dell’opera, in uno degli abituali e repentini cambi di sguardo della regista perché, come confessa lei stessa «in fondo l’unico punto di vista sugli eventi è quello dell’autore, il resto è convenzione». L’irrequietezza paterna trasfonde nella figlia adolescente in una dolce riservatezza che la macchina da presa può soltanto seguire da lontano, con pudore, senza violarne l’intimità. Come certe eroine della tradizione letteraria francese (l’anno successivo ci sarebbe stata la Junie de la Belle personne di Christophe Honoré) la Pamela dell’esordiente Constance Rousseau rimane una creatura remota e insondabile. Mia Hansen-Løve la tiene al riparo dall’invadenza del mezzo tecnico privilegiando i lunghi piani sequenza delle vacanze in campagna e inquadrature sghembe che la rivelano solo per pochi istanti, mentre nei rari momenti di vicinanza è l’affascinante nistagmo dell’attrice, quel movimento continuo e rapido dello sguardo, a sancire quasi programmaticamente l’impossibilità di appropriarsi di quel volto e quel corpo in divenire.
In tal senso Tout est pardonné è sia un esordio che un testamento filmico: una lettera aperta alla generazione precedente, ai padri anche cinematografici, dei quali si prende il buono e si perdonano gli errori, ma soprattutto un inno alla giovinezza, a ciò che rinasce sempre dopo il declino notturno. Mia Hansen-Løve ha mantenuto intatta nel tempo a venire l’idea di un cinema eternamente al presente che, pur dipanandosi per mesi (Maya, L’avenir) o anni (Un amour de jeunesse) o addirittura per interi decenni (Eden), rimane sempre in ascolto, in allerta, seguendo soltanto il ritmo interiore dei suoi personaggi.