Nightcrawler - Lo sciacallo
Un famelico Jake Gyllenhaal , nella sorprendente opera prima di Dan Gilroy, a caccia grossa in una notturna e vorace Los Angeles, giungla dove si rincorrono gli sciacalli dell'immagine.
Nell’incandescente notte di una Los Angeles illuminata da asfissianti neon colorati si muovono i nuovi sciacalli della notte, tra quella segnaletica stradale fluorescente che indirizza la strada per la salvezza ed i recessi della perdizione, si rincorrono le nuove figure di reporter sfrontati e pronti a tutto, figli di un mercato del lavoro chiuso, distante, vecchio ed impermeabile, gli sciacalli posano gli sguardi delle loro videocamere su fatti di cronaca sanguinosi, incidenti stradali, morti violente, rapine finite male. Se la società americana vuole svegliarsi la mattina e guardare la violenza appena perpetuata nella notte precedente, se vuole essere terrorizzata fin dalla prime luci dell’alba cercando di rifuggire il colpevole dell’omicidio appena compiuto, sentendosi più sicuri in quanto osservatori (voyeur) sul posto, ci sono gli sciacalli che glielo permetteranno. Da qualche anno, i grandi mostri dell’informazione televisiva americana attingono il loro materiale dalla rete (YouReporter), i Citizen Journalism hanno occhi e orecchie ovunque, hanno mezzi facili per riprendere, come i cellulari o handycam facile da estrarre, come pistole tese sulla cronaca, pillole quotidiane su furiosi crimini appena compiuti. Il film ci racconta la scalata al successo (di chiaro stampo americano) di Lou (un gigantesca prova attoriale di Jake Gyllenhaall che ha dovuto perdere 10 chili per l’interpretazione), un piccolo ladro di periferia che ruba ferro da rivendere alla migliore impresa offerente. Un giorno, assistendo ad un incidente stradale ripreso dalle telecamere dei sciacalli, ha l’illuminazione giusta. Sfrontato, dimagrito, teso, scavato e nervoso, Lou è il moderno esempio di divoratore di conoscenza informatizzata, è il giovane che tutto assorbe, quando le fonti d’informazioni si moltiplicano all’infinito nell’universo della rete la gioventù diventa ricettiva a tutto, diventa la spugna ideale per il continuo traffico d’informazione virtuale; il suo apprendistato si struttura su una sapienza approfondita di tutta la manualistica on-line, una conoscenza trasversale, un personaggio sincopato, preciso ed affilato. Prendendo in mano una semplice videocamera digitale e sintonizzandosi sulle frequenza della polizia, Lou si inventerà un lavoro che lo porterà al successo, in un scalata verso i bassi recessi della notizia sensazionalista di cronaca nera. Spingendosi sempre più oltre, al di la del limite consentito e della moralità televisiva, arriverà ad interferire con l’arresto di due assassini.
Il sorprendente film di Dan Gilroy, Nightcrawler, presentato nella sezione Mondo Genere al Festival del Cinema di Roma merita un articolo più approfondito, il film è una piccola perla cinematografica che parte dalla modernità e su di essa rimane, placida ed implacabile, aprendo ad un discorso di grande attualità. Partiamo dalle cose prime, i personaggi. Oltre a Lou, ci sarà Rick (Riz Ahmed) a fargli da assistente, un inglese di origini pakistane senza un lavoro e senza una fissa dimora e Nina (Rene Russo), una donna esperta e graffiante che gestisce il servizio di cronaca della mattina per una piccola emittente televisiva. Gilroy ci presenta un mondo che sa di girone infernale, dove figure dalle anime dannate, gestiscono il traffico di informazioni sulle emittenti televisive e dove i telespettatori sono inscritti in un limbo d’ignavia voyeuristica. Questo sarà il vettore focale di una nascente sottocultura che rappresenta un’America pronta a tutto, una società spaventata e guardona. Gilroy fa collidere la realtà con la finzione, mostrandoci un’immagine reale che può essere spesso contraffatta. In un film dove il punto di vista soggettivo dovrebbe farla da padrone (P.o.V), il regista è sempre capace di oggettivizzare il tutto, riuscendo a trovare la giusta chiave per una narrazione chiara ed implacabile, raccontando una storia frenetica, adottando il ritmo di una caccia all’uomo diversa, dove al posto dell’uomo, si rincorre l’immagine della notizia cronachistica. Le regole vengono spesso infrante, l’etica venduta per paura rassicurante (e terrorista) dell’immagine sullo spettatore, in un continuo scambio tra domanda ed offerta, un mercato degli orrori dell’ora della colazione. Il regista sembra sostenere la soluzione dell’imbarbarimento generazionale (amorale) teso a risolvere il problema di un lavoro che manca, in un mondo pieno di occhi digitali, attraverso i quali poter riprendere la barbara realtà, fonte di guadagno e sopravvivenza. Riuscendo a disorientare profondamente lo spettatore incapace di non poter più distinguere l’immagine reale dall’immagine contraffatta, in una specie di matrioska di sguardi e di piani di realtà differenti. L’occhio spietato di Lou riprende il vero (o lo traduce in falso) diventando il principale complice della violenza documentata. Uno sguardo pronto a tutto che non risparmia niente e nessuno, ne gli spettatori ne tantomeno, i suoi collaboratori. La Los Angeles rappresentata è un’ambiente pericoloso e notturno, una città divisa tra predatori, prede e sciacalli, una giungla di animali affamati, pronti ad avventarsi sopra ad ogni minima immagine conquistata. La mancanza di debolezza empatica sarà l’unica forza necessaria in un gioco dove il premio è portarsi a casa l’immagine migliore, e Lou, un’implacabile e famelico Gyllenhaall, sarà, nel gioco, lo sciacallo migliore. Opera prima serrata e riuscita, che indaga sull’uso dello sguardo contemporaneo, in un mondo stratificato in un gomitolo di sguardi differenti, dislocati nell’infinito universo telematico e digitale.