CINEMA E TEMPO - La trilogia di "Ritorno al futuro"

di Robert Zemeckis

Ritorno al futuro - recensione film Zemeckis

[Questo articolo fa parte di uno speciale dedicato al rapporto tra cinema e tempo, un approfondimento nato sulla coda lunga di Tenet, il film di Christopher Nolan che in questo difficile 2020 aveva riaperto una stagione cinematografica e riportato il grande pubblico in sala, seppur tra le tante difficoltà. Oggi, al momento in cui si scrive, quel tentativo è di nuovo interrotto, ma la suggestione del viaggio nel tempo rimane, la conserviamo come uno dei tanti, sottili fili che ci legano e riportano alle immagini. Perché il cinema, che fosse attraverso le griglie rodate del genere o l’interpretazione personale dello sguardo autoriale, si è sempre interrogato sulla quarta dimensione, ne è emanazione e macchina del tempo esso stesso, per come ci permette di viaggiare per ere prossime o lontane.
Questo dossier propone una serie di film che, in modo molto diverso tra loro, riflettono e “sperimentano” il viaggio nel tempo; una costellazione di titoli, per provare a capire come il cinema abbia affrontato l’argomento nelle sue diverse ramificazioni].

È difficile credere che la trilogia di Ritorno al futuro sia cominciata più di trentacinque anni fa. Anche se è passato molto tempo, almeno per i nostri metri di giudizio, sembra che l'opera di Robert Zemeckis resista, con la forza di un mito popolare, al tempo che scorre. L'inventiva, la qualità della scrittura e la passione cinefila che animano la trilogia sono solo alcune delle ragioni della sua persistenza, questo è indubbio; ma il motivo fondamentale della sua popolarità va probabilmente rintracciato nel nome del produttore esecutivo del film: Steven Spielberg.

Ritorno al futuro è un film per famiglie, nel senso più nobile di questa espressione: vi troviamo lo stesso sguardo curioso di E.T, il senso dell'avventura di un Indiana Jones e il ricco arabesco famigliare che porta la fantascienza di Incontri ravvicinati a livello intimo e personale. L'idea del viaggio nel tempo, già ampiamente esplorata dalla letteratura e dal cinema, viene declinata in modo simile. Il risultato è Ritorno al futuro, che sa mettere in scena un'idea di viaggio nel tempo vicino allo spettatore, vissuta come relazione e affetto. La forza di questa sintesi è ancora oggi inarrivabile. La vertigine dei paradossi temporali non è, qui, una questione filosofica o metafisica, o almeno non subito: attraversare il tempo significa capire perché i nostri genitori si comportano in modi così alieni, nonostante siano stati giovani anche loro. Significa ricucire i rapporti tra le generazioni e capire cosa è cambiato e cosa ritorna sempre uguale, al di là di un cambio di costumi e di un colore leggermente più sbiadito nei ricordi e nelle immagini.

Su questa dimensione famigliare si innestano le più felici intuizioni della trilogia. Ogni viaggio a bordo della DeLorean comporta rischi e paradossi, e la curiosità delle prime incursioni può facilmente trasformarsi in una nuova avventura: ricucire una relazione e salvare se stessi, scoprire il proprio futuro oppure, come Ulisse, ritrovare la via di casa. Il film corre tra i generi cinematografici e le loro iconografie, dal western alla fantascienza distopica: una celebrazione del potere immaginifico del cinema e delle sue capacità di riscrivere le storie o (per tornare a Zemeckis, e precisamente al 1994 e a Forrest Gump) la Storia, in prima persona e da vicino.

Come suggerisce il titolo originale, Back to the Future è un cinema che vive in una dimensione paradossale, nell'impossibile corto circuito tra un tempo lineare e uno circolare. Da una parte, una linea di eventi che si può spezzare: un battito d'ali nel 1955 è sufficiente a mettere a rischio l'esistenza di Marty McFly, raccogliere un almanacco sportivo nel futuro può creare una realtà alternativa. Al tempo stesso, è in opera un tempo ciclico, mitico, nel quale l'eterna dinamica del Protagonista (Marty), del suo Aiutante (Doc) e dell'Antagonista (Biff e i suoi ascendenti o discendenti) si ripropone con variazioni minime. Ad ogni salto temporale, una nuova Hill Valley – Itaca, con la sua famigliare geografia, l'orologio al centro della città, le sue epopee famigliari. Un eterno duello tra bene e male, dove il bene è destinato a trionfare in modo chiaro e distinto: era questo, in sintesi, il sogno pop degli anni Ottanta e il sogno politico della fine della Storia, illusione da cui ci siamo svegliati bruscamente con il volgere del secolo.

In questa dialettica tra classicità e innovazione, tra passato e futuro, Ritorno al futuro si è trasformato in qualcosa di simile alla debordante DeLorean o alle scarpe Nike che si allacciano da sole: un oggetto di culto in cui riusciamo a credere grazie all'ambiguo fascino del Cinema. O, in alternativa, una capsula del tempo che racchiude una sconfinata fiducia nella settima arte e la nostalgia per un'epoca deja disparu, dove queste fantasmagorie potevano davvero portarci in un altrove. Almeno per il tempo di un film e di un salto nel buio della sala.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 18/10/2020

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