Another Me, nuovo lungometraggio della regista catalana Isabel Coixet, in concorso in questa ottava edizione del festival di Roma, è un esempio eclatante di cattivo cinema. Il film, un noir psicologico incentrato sull’abusato tema del doppio, è caratterizzato da svolte narrative talmente improbabili da suscitare momenti di inaspettata comicità, risultando poco incisivo sia nelle ambientazioni thriller, scontate e ripetitive, sia nel mancato tentativo di raccontare i turbamenti di una ragazza adolescente alle prese con una complessa situazione familiare. Fay (interpretata da Sophie Turner, nota soprattutto per il ruolo di Sansa Stark nell’acclamata serie televisiva Il trono di spade) ha sedici anni. Vive una vita allegra e serena finché il padre, l’attore Rhys Ifans, si ammala di sclerosi multipla ed è costretto sulla sedia a rotelle, evento che sconvolge gli equilibri di tutta la famiglia. Il trauma innesca nell’adolescente una serie di reazioni a catena, scatenando quelle che Fay crede inizialmente essere allucinazioni: la protagonista vede, infatti, una sua sosia, un’altra lei, che la pedina e la perseguita. È frutto della sua immaginazione o, forse, semplicemente un brutto scherzo inscenato da una compagna di classe invidiosa? Quello che la ragazza non sa è che la sua nascita cela un’inquietante segreto, tenutole fino a quel momento nascosto. La protagonista aveva, infatti, una gemella omozigota, Layla, morta prima ancora di nascere. Possibile che la pena causata dalla malattia del padre abbia risvegliato in lei quel lutto antico, il dolore primigenio della separazione dalla gemella?
Gli esiti sono, se possibile, ancora più sconcertanti delle premesse. Il film fluttua indistintamente tra soluzioni e generi, offrendo risposte sempre meno convincenti e cagionando uno straniamento dello spettatore che, precipitando in una dimensione di incredulità, si allontana dalle vicende narrate e dai personaggi. Meccanismo che concerne anche il rapporto padre-figlia, unico aspetto vagamente convincente all’inizio della pellicola. Sostenuta, peraltro, da due buone interpretazioni attoriali, la dinamica tra i due, toccante nella prima parte, decade in un’insensatezza che soffoca ogni possibile forma di empatia, sfociando in un epilogo terribilmente poco efficace nella sua insistita drammaticità. Another Me si pone, nei suoi temi fondamentali, come una versione mal girata e mal riuscita de Il cigno nero di Darren Aronofsky: in entrambe le pellicole, infatti, l’ansia per un doppio onnipresente e dittatoriale fa precipitare le protagoniste, ambedue adolescenti, in un vortice di autodistruttività. Se ne Il cigno nero, però, l’estrema coerenza proposta dal regista porta all’annientamento della protagonista, sfociando nella tragedia del finale, nel film della Coixet il significato si perde progressivamente con lo svolgersi della trama, dissolvendosi in assurde svolte sovrannaturali. Non vi è nulla, infatti, che riesca a tenere insieme le tante fibre sfilacciate proposte dalla regista. Il risultato è un film vacuo, incoerente e asettico.
Isabel Coixet, dopo i pellegrinaggi in America con Lezioni d’amore e in Giappone con Map of the Sounds of Tokyo, torna in Europa per firmare quella che si rivela, senza dubbio, la peggior pellicola della sua carriera.