L’amministratore di Vincenzo Marra apre il concorso CinemaXXI dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. All’autore napoletano è anche dedicata una retrospettiva, curata da Mario Sesti, che ripercorre il lavoro del regista, dalla prima opera, Estranei alla massa, passando per L’udienza è aperta, Il grande progetto e Il gemello, fino ad approdare all’ultimo film, nuovamente ambientato nella sua città natale. Caratteristica principale delle opere documentarie del regista, oltre all’ambientazione, è il loro impeccabile e appassionante svolgimento narrativo. L’aspetto più prettamente documentaristico, infatti, e con esso un sottotesto sociale pur sempre presente e pregnante, emerge tra le righe di un racconto che è sviluppato nella sua interezza. I suoi stessi protagonisti sono persone che, paradossalmente, si fanno personaggi per raccontarsi nella loro autenticità.
Il film racconta la quotidianità di Umberto Montella, amministratore di condominio, che viaggia di casa in casa osservando gli abitanti di una Napoli affaticata e spaventata dalla crisi odierna. Tutt’altro che mero burocrate ed esattore, il protagonista trabocca di umanità: non solo si occupa, infatti, della gestione materiale di innumerevoli condomini della città, ma si prodiga anche affinché gli abitanti imparino a vivere con maggiore serenità e armonia. Armato di un sottile ma sincero buonumore porta il sorriso laddove inaspettato, e si fa carico di appianare bisticci condominiali ascoltando lamentele e problemi e intervenendo come può. Senza presunzione alcuna, insegna i valori della comunità e della cooperazione, invitando gli abitanti della città ad aprirsi l’un l’altro e non aver paura, a capire e a comunicare con il proprio vicino, quella persona estranea che vive nell’appartamento accanto.
Attraverso la sua piacevole opera Marra racconta i napoletani di oggi, permeati dalla loro sempiterna vitalità, il rapporto con la terra e i loro averi, che siano una minuscola casetta in un condominio di periferia o una boutique di lusso confinata in un piccolo spazio. Una Napoli che si configura, nel bene e nel male, come una realtà multietnica, invasa dalle grandi firme internazionali e dagli artisti di strada – memorabile l’interpretazione della celebre canzone napoletana O Sarracino, suonata e ballata da un gruppo di ragazzi di colore a ritmo di bonghi – pur forse inconsapevole di esserlo. Una Napoli fatta di ricchi e poveri, di nobili decaduti e anziani in difficoltà, di persone come tante che si perdono in insignificanti bisticci e si infastidiscono per un nonnulla, facendo emergere una sofferenza che è profonda e spesso inelaborata. O di altre che, nonostante la rassegnazione al tempo che passa e a un degrado inarrestabile che divora tutto ciò che le circonda, sono in grado di accogliere l’altro con calore, umanità e umiltà. Persone unite da un amministratore che si impegna, nei limiti dei suoi doveri, a organizzare le loro vite, occupandosi di piccole beghe e tutelando i loro interessi, carico del calore e la serenità del saggio che prosegue impavido il suo cammino con consapevolezza ed onestà.