La piccola Carolina, si è appena trasferita con sua madre in una nuova casa a Puebla, nel Messico del sud; suo padre, dopo il divorzio, è rimasto a Città del Messico, e la diffidenza della bambina verso il nuovo compagno della madre, per quanto egli le provi tutte per risultarle simpatico, stenta a stemperarsi.
Manto Acuifero, ossia “il pozzo” è un film fatto di alternanza, 85 minuti in cui il montaggio come un pendolo descrive ambienti interni ed esterni, un susseguirsi di sequenze divise più o meno equamente tra gli interni della nuova casa e gli esterni nel giardino della stessa: l’ordine borghese asettico della casa antitetico al giardino che versa in stato di semi-abbandono ed è infestato da insetti e animali di qualsiasi sorta. Carolina, contrariamente alla norma, predilige di gran lunga il secondo e appena può è lì che si rifugia, inventa nuovi giochi, entra in contatto con la natura circostante, e lì trova il pozzo (prosciugato) dove nasconde le foto del suo vero padre che la madre ha gettato nella spazzatura. La portata simbolica di tale scelta narrativa potrebbe anche parere originale poiché, appunto, sovverte la dinamica “casa-rifugio, esterno-ignoto” ma il regista Michael Rowe ne fa una vera ossessione, al punto da far pendere la regia da una parte sola. Si ha la sensazione che Rowe curi con indiscutibile rigore le scene esterne mentre tutte le sequenze in casa siano per lo più raffazzonate e tirate giù alla bene e meglio in fase montaggio per il solo motivo che queste sono necessarie per far evolvere la (modesta) storia. Per quanto la sceneggiatura non manchi di alcuni buoni dialoghi e dignitosi momenti di umorismo, i naturali limiti narrativi di un film caratterizzato da sole due location e soli tre attori pesano come un macigno sull’andamento di una narrazione che lascia parecchi punti interrogativi ed ha il demerito (complice il montaggio) di rendere noiose anche le scene di più alto impatto emotivo. Il tutto poi si riversa in un finale onestamente sconcertante del quale davvero non si sente la ragione.
Il tema di come il mondo e le problematiche degli adulti si riversino sui bambini è una delle scelte narrative più comuni nel cinema contemporaneo, ed è curioso notare come molti film appartenenti a movimenti emergenti di cinema indipendente (sottolineo indipendente, quello messicano, a livello mainstream,si sta rivelando un cinema d’avanguardia, si pensi a Gravity o Post Tenebras Lux) utilizzino proprio l’infanzia o l’adolescenza come punto di partenza per la stesura delle loro sceneggiature. La speranza è che queste non diventino solo un pretesto per mostrare le problematiche locali filtrate attraverso lo sguardo di giovani e giovanissimi che, così come lo spettatore straniero, non sono (pienamente) a conoscenza della situazione socio-politica del paese dove il film è ambientato. Manto Acuifero è un film che purtroppo ha questa tendenza: la bambina protagonista si muove in ambienti che palesemente simboleggiano i contrasti di un paese in ascesa economica e pertanto ricco di contraddizioni, ovverosia il giardino selvaggio da una parte e l’ordinata casa borghese dall’altra (per inciso se c’è qualcosa che vagamente redime il film, quella è la scenografia), il messaggio passa chiaro ma tutte queste scene “didattiche” incidono a scapito della psicologia della protagonista, di cui non trapela nessuna emozione autentica, che non sia telecomandata (come anche gli altri due attori) da un regista esasperatamente concentrato sulla propria “missione”.