Waves

di Trey Edward Shults

Abbandonando l'horror a favore del dramma famigliare, Trey Edward Shults firma un film pienamente figlio del suo tempo e del rapporto tra le nuove generazioni e le loro immagini.

Waves recensione film

Ci sono film che riflettono sulle dinamiche dello sguardo contemporaneo, ponendosi domande e mettendo in evidenza criticità e contraddizioni insite nell’atto di creare (e vivere) il cinema oggi. Ci sono film invece che bypassano ogni prospettiva intellettuale per vivere direttamente quello sguardo, assorbendo i fattori che determinano oggi il rapporto tra le nuove generazioni e le loro immagini per riproporli senza filtri sullo schermo, nutrendosene in quanto nuovi elementi di costruzione di un racconto. Waves di Trey Edward Shults (già autore del valido It Comes at Night) è uno di questi film, un’opera che vive di impostazioni Instragram e chat su smartphone senza farsi mai ipermediale. Non c’è collage di linguaggi diversi in Waves, non ci sono inserti social, messaggi in sovrimpressione o estratti di video digitale; al loro posto troviamo immagini che sono figlie naturali dell’iconosfera social e rappresentazione diretta, disincantata, del dispositivo colto nel suo uso quotidiano – compresa la dimensione drammatica, non a caso nel film diversi degli snodi narrativi principali sono affidati a chat tra i protagonisti. Da questo punto di vista Waves è un film necessariamente successivo alla convergenza tra immagine e portabilità digitale, quando ormai nuove generazioni sono nate e cresciute in un diverso orizzonte mediale e non serve più lavorare sulla schizofrenia dei linguaggi e la crescente porosità del confine tra reale e rappresentazione – un approccio, per chiamare in causa uno dei primi film dedicato all’argomento, a là Redacted. Non a caso la storia raccontata da Shults è un dramma giovanile fatto di amori liceali, pressioni famigliari e violenza incancrenita, ma anche di rinascita e apertura e confronto con la fine per maturare e scoprirsi adulti. Un racconto di formazione circolare, scandito da un progressivo chiudersi e riaprirsi del formato dell’immagine e diviso in due parti, in cui la prima appare la più stilizzata, aggressiva e strettamente contemporanea, mentre la seconda cerca nei suoi intenti catartici di ricucire lo strappo con la classicità del racconto cercando una sintesi di passato e presente che possa valere tanto a livello narrativo quanto a livello di linguaggio.

Al centro del racconto troviamo due fratelli, Tyler ed Emily, nuova generazione di una famiglia di colore arrivata al benessere altoborghese ma ancora carica di tensioni. Il padre dei due ragazzi è un modello famigliare forte, non violento dal punto di vista fisico ma certamente pressante, severo, attento a ricordare al figlio come la sua condizione black lo renda sempre un elemento vulnerabile del tessuto sociale. Bersaglio di aspettative e attenzioni costanti, Tyler cerca comunque di vivere la sua adolescenza con maggior naturalezza possibile, consumando molti di quegli elementi di autorappresentazione black che oggi conquistano status e spazi maggiori nella scena culturale americana. Zazzera ossigenata come il Frank Ocean di Blond, Tyler si muove tra le nuove forme di r&b e il pop di Pharrell Williams, e con lui si muove trasversale lo sguardo di Shults, bravissimo nel calarsi in una dimensione socioculturale che non lo rappresenta direttamente ma di cui, evidentemente, riesce a parlare i linguaggi e le emozioni. È soprattutto la forza emotiva il miglior pregio di Waves, una capacità rara di evocare sentimenti importanti e complessi con un’estetica sì contemporanea e giovane ma ben lontana dalle soluzioni prefabbricate e in serie che dominano ormai tanto cinema indie americano. Shults piuttosto sembra guardare alla realtà e ai suoi protagonisti allo stesso modo di Xavier Dolan, non solo per il ricorso espressivo alla variazione di formati visto già in Mommy, ma anche e soprattutto per la naturalezza con cui il racconto si assembla a partire dalle forme base della cultura pop vissuta dai protagonisti. Quello di Mommy e Waves è davvero un cinema figlio del suo tempo, lì gli anni Novanta e qui i nuovi anni Venti, e poco importa se il film di Shults funziona a corrente alternata, a volte costretto dalla sua stessa struttura a manipolare le necessità del racconto, intrappolando i personaggi e le loro evoluzioni in un discorso circolare a priori. La forza e l’impatto emotivo del film ne escono comunque intatti, a volte strazianti, e davvero in linea con lo sguardo dei suoi giovani, nuovi spettatori.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 25/10/2019

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