Tusk

Il nuovo film di Kevin Smith è un confuso incontro di orrorifico e ridicolo non del tutto risolto, ma il coraggio e l'originalità dell'operazione ne fanno comunque valere la visione

C’era una volta, in un mare lontano lontano, un giovane marinaio alla deriva. Unico superstite di un terribile naufragio, il ragazzo riesce a sfuggire alle fredde acque artiche rifugiandosi su di una terra ghiacciata. Isolato dal mondo e in attesa di un miracolo, stringe lì una profonda amicizia con Mister Tusk, che diventa per lui l’unica fonte di conforto. Anni dopo l’uomo è ormai un benestante cittadino canadese, deciso a trasformare i suoi ospiti ignari in repliche del defunto Mister Tusk. Repliche del tricheco che gli salvò la vita tanto tempo fa.

Favola dark sull’animalità dell’essere umano, Tusk è un film che sconcerta e colpisce, anche se non totalmente in senso positivo. Alla fine della visione domina su tutto un forte senso di spaesamento (e di tristezza, se si è riusciti ad entrare nella storia) dovuto all’amalgama di generi chiamati in causa nel corso del film. Per il suo ritorno al cinema dopo il grandioso Red State, Smith tenta infatti un’operazione estremamente ambiziosa e riuscita in passato a pochissimi, ovvero far dialogare orrore e ridicolo come due facce della stessa medaglia, senza però che l’una influisca sulle capacità espressive e d’impatto dell’altra. Tusk allora è un film in cui seguiamo le vicissitudini drammatiche di un uomo-tricheco, siamo chiamati ad empatizzare con la sua ragazza e il suo migliore amico e subito dopo assistiamo all’ingresso in scena di un grottesco detective quebechiano impersonato da un divertito (e irriconoscibile) Johnny Depp. Infarcito di battute sul rapporto tra Stati Uniti e Canada, si rivela in certi momenti estremamente divertente, in altri disturbante (specie grazie alla resa particolarmente azzeccata della trasformazione), ma in altri noioso e privo di ritmo. E questo perché, barcamenandosi follemente tra i due estremi dello spettro, Tusk è un film confuso e troppo altalenante, che si prende troppo sul serio per essere parodia ma scherza e divaga troppo per essere un horror completo. Le sue parti diverse non riescono a dialogare tra loro e generano nel mezzo un fastidioso senso di giro a vuoto. Tuttavia è proprio da questa girandola di situazioni che emerge il fascino di un’operazione comunque ambigua e la cui non conformità viene portata con coraggio fino in fondo. Ed è questo a rendere Tusk un film con cui vale sicuramente la pena confrontarsi.

Incentrato sulla trasformazione corporea di un povero americano particolarmente imbecille, Tusk si propone di tornare a mostrare la necessità inevitabile della parte animale dell’essere umano. Ma riscoprire il tricheco che è in ognuno di noi significa comunque dialogare con una bestia cieca e rabbiosa, assetata di sangue e pronta ad emergere se le circostanze sono quelle giuste. Tutto il progetto di questo Dottor Frankenstein canadese punta del resto a rievocare un duello già svoltosi nel passato, ed è grazie ad esso che la sua vittima può finalmente abbracciare la sua natura. Ancora una volta Smith gioca guardando a temi che contano, anche se questa volta la formula di cui va in cerca è davvero difficile da trovare.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 21/10/2014

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