Una nuova amica
L’ultimo film di François Ozon è una tenera fiaba transgender, una storia d’amore memore di quei fantasmi che vivono sempre due volte.
Dopo anni di cinema multiforme interessato a indagare le superfici stesse dell’immagine, con Una nuova amica, François Ozon realizza una sofisticatissima fiaba transgender. Nell’idillio di una storia d’amore che sfugge alle identità sessuali precostituite, Ozon canta la libertà di un mondo sottratto alle logiche crudeli e immobili della società. Non è interessato al pamphlet politico, ma alla riscoperta di una femminilità negata, in grado di sbocciare solo attraverso le fasi del lutto, del confronto, del feticcio e del riconoscimento.
Fin dalle prime inquadrature, il cadavere di Laura (un nome che è già un programma, da Preminger in poi) sprofonda in un biancore accecante. Quel corpo giovane, esanime e bellissimo, sprigiona un erotismo mai morboso, ma candido e innocente, come fosse un bagliore di luce, l’embrione di una nuova vita pronta a sbocciare. In questa ouverture metafisica, la morte non è la fine, ma il punto zero della narrazione, l’alba di una nuova storia. Le parole dolenti di Claire, protagonista del film, piangono la scomparsa della sua migliore amica.
Un lungo flashback racconta i momenti salienti della loro amicizia: come novelle creature del cielo, queste bimbe inseparabili alla corte del mondo, queste adolescenti in balìa dei primi, teneri amori, queste donne ormai pronte a sposarsi, sono le sorelle-amanti che ridono, giocano e amano. Il passato non è solo l’isola flou in cui sprofondare, ma il regno che vive sempre due volte.
Fin dalle premesse, Ozon si conferma un narratore brillante e sofisticato, un autore sentimentale (e mai sentimentalista) che ama pedinare i propri personaggi, lavorando sui difficilissimi binari dell’identificazione. Ma ciò che lo rende interessante e teorico al massimo grado, è l’utilizzo di espedienti hitchcockiani (i codici della suspense, i fantasmi narrativi, il flashback empatico) anche in territori non dichiaratamente thrilling.
In effetti, assistendo al flashback iniziale, subito pensiamo a un complesso meccanismo di scatole cinesi (come se fossimo ancora tra gli Effetti collaterali di soderberghiana memoria), ma Ozon ci tradisce, indossa nuova pelle e nuovo sesso, virando inaspettatamente verso la commedia.
Se è vero che ogni storia d’amore conserva i fantasmi delle relazioni precedenti, qui l’intera struttura del film risponde al codice perfetto e geometrico dove tutto ritorna sotto altre spoglie. Eppure Ozon riesce a mantenersi in un equilibrio perfetto tra film-cervello e film-cuore, tra meccanismi narrativi e esigenze umane. Non ingabbia, ma libera, non costringe, ma gioca, non riduce i personaggi a mere funzioni narrative, ma li fa brillare di luce propria.
A partire da Claire, punto di vista privilegiato del film. All’inizio è una donna distrutta, mascolina, poco curata, ma gradualmente assisteremo alla riscoperta della sua femminilità, come se si trattasse di un autentico risveglio. Sarà proprio Claire a scoprire che David, marito della defunta amica, ama vestirsi da donna, cullando il figlio come se fosse la madre. All’inizio ne sarà sconvolta, poi, lentamente, prenderà confidenza con il doppio dell’uomo: Virginia è infatti la seconda identità di David, il sogno recondito e proibito divenuto carne.
Ma, al contrario di qualsiasi convenzione, Ozon punta il suo occhio non tanto sulla problematica identità di un transessuale, quanto sulla rinascita femminile di Claire. Attraverso Virginia, vestita con gli abiti di Laura, Claire matura e trova nuova vita, esumando un erotismo che la sua esistenza quotidiana, noiosa e borghese come tante, aveva finito per stemperare.
Una nuova amica innesca dunque un’altra storia d’amore, sorta sulle ceneri di un’amicizia sconfinata. Saranno gli sguardi, le piccole intese, i feticci del trucco e del vestiario, a cullare queste amiche: Claire scopre in sé una donna fiera e indipendente, in Virginia il veicolo con cui riesplorare tutti gli spettri del proprio io. Ozon miscela così travestitismi wilderiani, conflitto melò alla Sirk, femminilità che sembrano uscite dal miglior Almodòvar. Ma non si tratta solo di uno sterile giochino cinefilo, perché ciò che interessa al regista francese è l’opera di formazione, o meglio ancora il meccanismo di crescita e sostituzione. Laura rinasce con una vitalità prorompente sotto le spoglie di Virginia.
Si ha come la sensazione che Una nuova amica perda gradualmente peso e gravità. Dai toni drammatici delle sequenze iniziali, il film si emancipa da se stesso, rinchiudendo le due protagoniste in una piccola dolcissima isola di luce. Si pensi alla splendida sequenza del nightclub, tenero e densissimo inno alla libertà sessuale: gay, travestiti, outsiders di un’intera società, che piangono, ballano, ridono e baciano, in un microcosmo libero dagli sguardi indiscreti di chi vuole ancora giudicare. Mentre udiamo le parole semplice e struggenti di Une femme avec toi il tempo si sospende, Virginia versa lacrime di gioia e Claire, con l’occhio languido, va incontro a un nuovo, inatteso futuro.
Una volta scatenate le pulsioni libidinali, Ozon lavora abilmente sul trauma del ritorno alla realtà. Il momento in cui qualcosa si spezza, in cui Claire ricorda l’identità sessuale di Virginia, coincide con l’apparizione destabilizzante del rimosso: il pene di David. Istante shockante, dettaglio turbolento che spezza l’idillio, ponendosi come una sorta di sgradevolissimo cut fallico. Questo stacco è decisivo ed è messo in scena alla maniera di un omicidio: il membro maschile diviene, simbolicamente, l’arma del delitto. Non è d’altronde la constatazione di Claire, quel terribile “Sei un uomo”, un vero e proprio assassinio dell’identità sessuale di Virginia?
Recuperando suggestioni che riportano il film alla sua matrice fiabesca, Una nuova amica sottopone David a un processo di morte/rinascita. Alla stregua della bella addormentata, si risveglierà finalmente donna. Di David non rimangono che tracce e fantasmi, ora non esiste che Virginia.
E Ozon, che crede una volta di più al potere illusorio del cinema, lascia spazio a un happy end sommerso di luce.
Ancora una volta si cammina verso un futuro migliore, ancora una volta felici e contenti.