Come ti divento bella!
L'ultima commedia con Amy Schumer cerca di riscrivere le regole del genere rom-com ma il risultato non è all'altezza del tentativo.
Come ti divento bella! (osceno adattamento italiano dell’originale I Feel Pretty) è una commedia romantica scritta da un duo di veterani del genere, Abby Kohn e Marc Silverstein, impegnato in un film il cui valore risiede più nel suo tentativo di innovare il canone che nell'effettiva riuscita di questa prova.
Sulla scorta della presenza di Amy Schumer, attrice e autrice comica di altissimo livello celebrata per il suo ruolo all'interno del discorso femminista nella televisione contemporanea, il film sceglie una premessa interessante (rivoluzionare un trope tipico della comedy USA – quello della bruttina che diventa bella – spostandolo dal livello fisico a quello emozionale) ma la inserisce in una sceneggiatura non altrettanto innovativa, che cade in grossolani errori di narrazione e caratterizzazione dei personaggi, che invece di rafforzare il messaggio di fondo finiscono per indebolirlo e diluirlo lasciando lo spettatore con la sensazione di aver assistito ad uno strano ibrido, privo di chiarezza nei propri intenti.
Partendo con Big (esplicitamente citato nel film) come dichiarata fonte di ispirazione, I Feel Pretty appartiene al sottogenere della changing comedy, commedie in cui grazie a un espediente magico o semi-magico il protagonista vive un cambiamento radicale nel proprio aspetto, età o personalità. Qui però, a differenza della tradizione cinematografica, la protagonista non cambia agli occhi degli altri ma soltanto ai propri: Renee Bennett, donna insicura e insoddisfatta di sé che riversa tutte le proprie insicurezze e nevrosi sul proprio aspetto fisico, batte casualmente la testa e si sveglia convinta di essere bellissima. Nulla è ovviamente cambiato da un punto di vista esteriore, ma il modo radicalmente nuovo di guardare a sé stessa le infonde una fiducia e una sicurezza mai provate prima, che la portano al successo lavorativo e sentimentale che aveva sempre ritenuto al di fuori della propria portata.
Il casting di Amy Schumer come average woman da un punto di vista fisico ed emozionale è ovviamente perfetto, specialmente nel momento in cui la storia svolta e la comedian ha la possibilità di sfoggiare tutto il proprio talento comico in momenti che costituiscono la parte migliore del film: un colloquio di lavoro, un concorso di bellezza in bikini, un meet-cute con un ragazzo, tutti momenti dominati dalla strabordante personalità comica e fisica di Schumer, perfettamente credibile come donna che sperimenta per la prima volta nella vita la sensazione di essere una bellezza da copertina.
La forza comica di queste sequenze è generata soprattutto dall'esistenza di un paradosso che in realtà non è tale: Schumer non è certo una persona che debba vergognarsi del proprio aspetto, eppure pare paradossale vederla comportarsi con una sicurezza che è solita soltanto a un numero davvero esiguo di donne; una contraddizione che porta alla luce in maniera abbastanza naturale all'interno del film il grande elefante nella stanza della nostra società, in cui la maggior parte delle donne sono talmente impegnate a criticare sé stesse e vedersi con uno sguardo mortificante da prosciugare le energie che potrebbero portarle non soltanto al successo, ma anche alla felicità personale.
L'idea che una donna intelligente, gradevole, brillante viva la propria vita all'ombra di una costante insoddisfazione estetica diventa così motivo di battute ma anche drammatica realtà, che permea il film di una malinconia sottile in grado di offrire alla prima parte di I Feel Pretty una profondità potenziale che soluzioni di sceneggiatura migliori avrebbero potuto valorizzare, rendendolo un prodotto effettivamente rivoluzionario. Invece, gli autori si fermano alla ripetizione di schemi stantii del genere che mal si conciliano con il tema trattato: un esempio lampante è la presenza di due spalle femminili, Aidy Bryant e Busy Philipps, mutuate dal cliché della commedia romantica che vorrebbe la bella protagonista dotata di almeno un'amica “normale” capace di maneggiare i momenti comici, che però risultano a conti fatti narrativamente inutili (di fatto, il personaggio di Renee è già perfettamente sovrapponibile al ruolo dell'amica in qualsiasi commedia romantica, e non necessita quindi di bilanciamento, almeno non in questo senso) e non portano alcun valore aggiunto in termini di comicità.
Il peso comico resta quindi tutto sulle spalle di Schumer che deve ricoprire sia il ruolo della protagonista che porta avanti la narrazione che quello dell'elemento divertente, una cosa che finisce per indebolire la sua performance e ridurre all'osso i momenti migliori del suo personaggio, quelli in cui Renee mostra la sua fragilità; gli autori danno l'impressione di essere indecisi sul tipo di protagonista da scegliere e quasi “spaventati” all'idea di promuovere una ragazza normale come eroina romantica senza renderla al contempo una macchietta comica dichiarata.
L'intero film, in realtà, pare indeciso su che prodotto voglia essere, come se i produttori (un po' come i distributori italiani che gli hanno affibbiato il suo disgustoso e completamente incoerente titolo) temessero di spingersi troppo oltre nel reinterpretare il genere o avessero in mano un oggetto talmente diverso dal solito da non sapere come maneggiarlo in termini di marketing.
Prova ne è il fatto che le potenzialità più grandi del film sono state soffocate, a partire dalla protagonista fino ad arrivare alla comprimaria più promettente, vera sorpresa della pellicola: Michelle Williams nel ruolo di Avery LeClaire, capo di Renee e gioiellino di comicità misurata proveniente da un'attrice abituata a ruoli drammatici. Inaspettatamente, Williams offre con Avery una performance esilarante e sfaccettata, che resta però confinata a poche scene e soprattutto viene poco sfruttata per duetti con Schumer che avrebbero non solo allentato la pressione comica sulla protagonista ma arricchito anche il tema del film di un punto di vista differente, quello della privilegiata ereditiera che pur essendo ricca e bellissima non riesce a farsi prendere sul serio per via della voce flebile e acuta.
L'incapacità di sfruttare la propria idea con soluzioni all'altezza affligge anche il finale del film, in cui la tematica empowering che permea la storia viene ridotta a mezzo per vendere una linea di trucco e ottenere lavoro e amore.
Nel complesso, è inevitabile concludere che con I Feel Pretty siano state sottovalutate e “normalizzate” le potenzialità della storia e dell'attrice protagonista per attirare un pubblico medio che tutto sommato pare abbia premiato il film al box office (probabilmente anche grazie all'ampia fanbase di Schumer e al successo di Un disastro di ragazza) ma penalizzando la carica dirompente di un approccio alla commedia romantica che poteva infondere una nuova linfa a un genere usurato e stantio, tanto più in questi tempi di definizione dei ruoli romantici.