Don't Look Up
Pamphlet apocalittico, satira frontale, ma soprattutto fotografia non troppo deformata di un'umanità indifferente a tutto perché ormai incapace di comprendere sé stessa e affrontare il reale. Adam McKay torna con il suo progetto più ambizioso e disfattista.
«È terrificante e bellissima allo stesso tempo», dice l’astrofisico Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) osservando, per la prima volta a occhio nudo, la cometa che sta per distruggere la Terra. Mesi prima, lui e la sua dottoranda (Jennifer Lawrence) avevano tentato di avvisare l’umanità della minaccia, ricevendo in cambio l’indifferenza dei media, il miope cinismo del governo americano e l’ostilità dei complottisti. Eppure, ora la cometa è lassù, terrificante ma anche bellissima nella sua verità oggettiva, incontrovertibile. Come in France di Bruno Dumont, anche in Don’t Look Up di Adam McKay la realtà irrompe in un mondo sempre più impreparato ad affrontarla, a riconoscerla nella foresta di segni da cui si trova sommerso e a prendersene carico. Se dunque lo stesso professor Mindy tentava all’inizio di esorcizzare la verità ripetendosi che «non è reale, non è reale», alla fine saluterà la cometa quasi con l’entusiasmo di chi finalmente (si fa per dire) si trova di fronte all’unico evento concreto che gli sia capitato da molto tempo, dopo aver trascorso gli ultimi sei mesi nel cicaleccio inconsistente del circo mediatico e umano; l’unica prova che possa ricordargli di appartenere ancora a un mondo reale, anche se per poco.
McKay torna a parlarci della follia di tempi (i nostri) in cui lo slogan «una risata vi [leggi ci] seppellirà» ha subito un tragicomico ribaltamento di senso. Quale fine può infatti prospettarsi a un’umanità che non riesce più a prendere nulla sul serio, compresa la propria estinzione, se non quella di rimanere sepolta dalle proprie risatine, dai meme, dal brusio dei talk show? La gestione della pandemia da parte degli USA, gli ultimi atti dell’era Trump, la consapevolezza di come i potenti della Terra stiano trattando la crisi ambientale, l’impermeabilità delle teorie complottiste, sono “solo” i segnali più recenti di un’involuzione demenziale che il regista addita in un parodico disaster movie, senza il bisogno di una lente deformante troppo grande per fotografare una realtà di per sé farsesca. Sotto questa lente, McKay pone una società incapace di ogni progettualità futura e quindi di capire sé stessa, condannata all’estemporaneità inconsistente di una comunicazione in cui la forma fagocita il contenuto.
Come in Vice - Luomo nell'ombra, la satira di McKay è diretta, intransigente, lampante nei propositi, di certo non raffinata ma non per questo ottusa, smodata ma (forse proprio per questo) capace di raccontare il presente. La forma è ancora una volta quella del pamphlet che non va troppo per il sottile e che qui, nel progetto più ambizioso del regista, assume i toni esasperati di un rigurgito morale dai toni apocalittici, il cui momento più furente è l’invettiva del professor Mindy di fronte alle telecamere di The Daily Rip, eco di un’America sana (ma il discorso si adatta anche a una dimensione più ampia) estenuata da una situazione che si fa grottescamente globale. Un riflusso bilioso che McKay sottolinea con closeup al limite del possibile sul volto dello scienziato, infrazione linguistica a ricordarci come qualsiasi verità, manifesta o meno, oggi debba confrontarsi con il dominio appiattente di immagini incapaci di comunicare il reale, e come tutto rischi di ridursi a immagine e nulla più.
Il vero dramma di Don’t Look Up sta proprio qui, nella fotografia di un mondo che ha perso sensibilità drammatica, indifferente a tutto perché ormai privo di strumenti per prendere consapevolezza di sé e dunque di un progresso che non sia solo tecnologico. In sostanza, dopo La grande scommessa e Vice, ancora un film sulla scomparsa del concetto di futuro dai radar della politica e di chi condiziona l’opinione pubblica, - del resto, la filmografia del regista è costellata di adulti immaturi (si veda Fratellastri a 40 anni), - ma in una prospettiva che porta la riflessione alle sue estreme conseguenze. Così, se ne La grande scommessa il dito veniva puntato contro un sistema economico irresponsabile che può decretare la fortuna di alcuni e la rovina di molti, mentre in Vice McKay metteva in ridicolo una politica disinteressata agli esiti della propria avidità, in Don’t look Up non esistono nemmeno più figure diaboliche ma a loro modo abili come Dick Cheney, perché i fili del sistema sono ormai sorretti da un demenziale pool di incompetenti, talmente alienato dal mondo e sconclusionato da autodestinarsi all’estinzione.