Emma.
Il debutto di Autumn de Wilde è una fedele quanto personale trasposizione austeniana, che con agilità si trasforma da giostra frenetica a trabocco emozionale.
Pizzi, merletti, sfolgorio cromatico, interni ed esterni che si spalancano lussureggianti uno dietro l'altro come un pop-up book, mentre come in un flip book figurine dalle mosse stilizzate e squisitamente coreografate si rincorrono, cambiano di posto, di segno, d'intento quali pedine di un'elegantissima scacchiera mentale la cui padrona, burattinaia, direttrice d'orchestra risponde al nome di Emma Woodhouse, il cui sguardo birichino e ansioso di esatta coordinazione narrativa corrisponde a quello della fotografa e videomaker Autumn de Wilde.
Una regia nella regia, due protagoniste che esibiscono il proprio indirizzo artistico, la propria volontà creativa: è netto, drastico, deciso il taglio di questo Emma, nuovo adattamento dal romanzo omonimo di Jane Austen, valzer concitato d'intrighi amorosi spavaldamente concertati da Jane/Emma – bella, ricca e per nulla annoiata, giacché dotata di un'indole generosa e immaginativa – che dopo aver architettato l'unione fra la sua governante e un buon partito si fa carico della futura felicità coniugale di un'ingenua fanciulla dagli ignoti natali. Incorrendo, naturalmente, in aggrovigliati equivoci, e sempre battibeccando furiosamente con l'amico di famiglia Mr. Knightley, l'unico a metter becco nei tranelli fantasiosi di Emma e a tentar d'innestare amaro pragmatismo nei suoi voli pindarici.
Ed è nel procedere della collisione fra i due, come nel ritmo scopertamente artificioso (da libro che si sfoglia musicalmente) degli spericolati intrallazzi, che De Wilde coglie – sul piano visivo, nel respiro del film – con precisione calzante lo spirito del capolavoro originale, mettendo a segno forse il miglior adattamento da Austen di sempre: limando la gradualità con cui il teatrino forsennato della Nostra (una Anya Taylor-Joy cartoonesca e più che perfetta) si ammacca, si scioglie, scopre l'umanità – e con essa, necessariamente, il dolore che cercava di umettare, la disperazione che non era ancora in grado di conoscere – e l'emotività. La temperatura emozionale, specificamente nella scena clou della dichiarazione di Knightley (di un'intensità notevole grazie all'eccellente Johnny Flynn), sale, si fa palpabile, l'affettata dimensione caricaturale vien meno, entrano in scena i corpi, nel gioco freddo s'insinua l'emozione, l'erotismo. Dalla bidimensionalità all'altorilievo; dal colore piatto al sangue, addirittura. La sostanza della maturazione interiore di Emma, che rinuncia all'onnipotenza fantastica delle unioni apparecchiate secondo il proprio estro ed ego (unico campo d'azione femminile in una società rigidamente gerarchica e maschile, d'altra parte) per riconoscere gli altri e sorprendere se stessa, arriva in una forma elegantissima, che ha l'intelligenza di smettere di compiacersi quando anche la sua protagonista impara a farlo.