The Stranger
Riflessione etica sul doppio e lo sguardo, sommerso tra echi di Mann e Campion, è con "Bestas" di Sorogoyen il thriller dell'anno, asciutto e potente come pochi nel cinema recente.
Un potenziale assassino di bambini. Il tentativo di incastrarlo attraverso una complessissima procedura di indagine (che per quanto iperbolica possa apparire è un'operazione standard, codificata e nota come 'Mr. Big'). Un agente sotto copertura, divorziato come da prassi, che per conquistare la fiducia del killer e portarne alla luce le colpe mette a repentaglio la propria salute mentale rischiando di incrinare il rapporto con il figlio.
Nel suo straordinario The Stranger, passato a Un certain regard 2022 prima di giungere su Netflix (ma non ancora in Italia nel momento in cui scriviamo), Thomas W. Wright si confronta con gli stereotipi del thriller facendoli propri con intelligenza: assorbendoli, rimasticandoli e quindi servendoli prosciugati da qualsiasi ridondanza. È una deliberata attitudine antienfatica quella che il regista e sceneggiatore sceglie come registro per il suo secondo lungometraggio, infondendola alla narrazione e perpetrandola attraverso le immagini con una pervicacia da partito preso che somiglia molto a una questione morale; abbracciata, piace immaginare, per rispettare la tragedia realmente accaduta e documentata nel romanzo da cui il film prende le mosse (The Sting: The Undercover Operation That Caught Daniel Morcombe's Killer). Certo, si può giocare a indovinare i numi tutelari di Wright – l'esperienza sul set di Top of the Lake, la serie di Jane Campion in cui l'autore interpretava uno dei personaggi principali, non deve essere passata invano, mentre un possibile magistero manniano (nel senso di Michael, ovviamente) è evocato dalla superba, minuziosissima direzione dell'intero cast, come dalla strepitosa capacità sintetica di alcune battute (“without evidence he walks”) – ma è lecito stupirsi per come questi eventuali punti di riferimento vengano superati per approdare a uno stile personale, ellittico e reticente. Così, i rimpianti per una relazione finita sono riassunti en passant, nell'occhiata frettolosa che un uomo rivolge alla sua ex compagna dalla fenditura di una porta, mentre il nero di una cesura inaspettata si abbatte bruscamente su scene che avrebbero potuto pencolare verso la retorica o il già visto (come nella magnifica sequenza, tra terrore e grottesco, in cui l'assassinio dal doppio nome – Henry Peter Teague/Peter Morley – prova a sedurre il suo falso amico Mark accennando dei passi di danza sulle note di Trojan Blue degli Icehouse).
Si tratta di una precisa modalità anticlimatica che distilla una tensione ammorbante senza mostrare una goccia di sangue né il minimo accenno di violenza fisica. Di un'asciuttezza espositiva che rinuncia alle scene madri ma non espunge le emozioni (quella mano alzata che statuirà la risoluzione del caso, dove l'enfasi del ralenti è scongiurata da un’altra violenta cesura sul nero), che rigetta qualsiasi lusinga canonicamente spettacolare (l'outback australiano, fotogenico per antonomasia, si intravede appena nei lunghi momenti che i due protagonisti trascorrono in auto) ed elude le aspettative dello spettatore in nome di un rigore della visione 'superiore' ed etico. Rigore che tiene alla larga Wright da qualsiasi sociologismo d'accatto, dalle spiegazioni 'accettabili', e che lo porta a raffigurare il Male incarnato da Henry/Peter come qualcosa d'inconoscibile (The Stranger, appunto): una macchia di colori che conquista il suo fuoco a fatica, un groviglio puntiforme restituito dalle immagini in bassa risoluzione di una telecamera di sorveglianza.
A conti fatti allora, ciò che sorprende maggiormente di questo thriller che non avremo la fortuna di vedere in sala, è proprio il fatto che, dalla sua comoda gabbia di genere, 'osi' riflettere sulla pertinenza del rappresentabile, su cosa sia giusto mostrare e su come mostrarlo, sancendo questi interrogativi con un finale indimenticabile e che chiama in causa più volte la centralità dello sguardo: quello che l'assassino rifiuta di restituire all'amico di cui si è fidato e da cui è stato tradito e quello, tenerissimo, che il figlio del poliziotto dedica, non visto, al padre, consapevole di come sia arrivato il suo turno di prendersi cura di lui.