La nuit a dévoré le monde (The Night Eats the World)
L'esordio di Dominique Rocher è uno zombie movie intimista che racconta l'isolamento.
Difficile pensare al minimalismo se ci avviciniamo a uno zombie movie, eppure La nuit a dévoré le monde (The Night Eats the World), primo film diretto da Dominique Rocher, aggiunge a uno dei sottogeneri più sfaccettati dell’horror un’ulteriore allegoria.
Dopo essersi addormentato a casa della sua ex ragazza durante una festa, Sam si risveglia in una Parigi desolata, restare umani diventa sempre più difficile, il morbo zombi divora tutti velocemente. Anders Danielsen Lie è il protagonista assoluto di un film intimo e rarefatto, poche sono le incursioni di altri personaggi: il non-morto Denis Lavant e la bellissima Golshifteh Farahani, creatura naïf e affascinante come nel Paterson di Jim Jarmusch. Sam affronta, barricato nel palazzo, la sua solitudine mentre fuori il mondo è sempre più decimato dalla presenza umana. Gli zombi non emettono i loro soliti versi e corrono, la voglia di cibarsi di carne umana è sempre la stessa e il protagonista si isola nella sua fortezza scegliendo come unico amico proprio uno di loro, Alfred.
Conclamata metafora politica e ideologica grazie alla grandezza del cinema di George A. Romero, il percorso della filmografia zombi è abbondante e sfaccettato. Qui però diventa materia per un horror arthouse tutto improntato sull’isolamento. Lo spazio del palazzo è il mondo interiore di Sam, probabilmente disilluso e addolorato dopo la fine di una relazione. Riappropriandosi proprio di questo spazio che riassetta con tutto ciò di cui ha bisogno, il protagonista si muove in una prigione che sceglie di non abbandonare. Dialoghi ridotti all’osso e momenti di folli evasioni (fatti di musica con strumenti costruiti grazie agli arnesi domestici), urla, travestimenti e objets trouvés nelle stanze una volta vissute da famiglie, coppie di anziani, bambini. Sam si rifugia nel mondo di altri per sfuggire al suo dolore, rappresentato da quella realtà esterna priva ormai di umanità.
Ma nel momento in cui un’altra superstite arriva in quel palazzo, nel protagonista nasce la speranza di un nuovo corso, come catapultato in una nuova storia, una nuova relazione, una nuova donna da amare e forse una possibilità per uscire dalla sua solitudine. Allora quel mondo popolato da zombi diventa metafora di profondo dolore, di quella rabbia che Sam tenta di combattere in quelle poche sequenze d’azione e tensione che ci sono nel film, insolito per un’opera sul genere.
Rocher si focalizza sul volto del protagonista, sui suoi movimenti e sulle sue continue interazioni con lo spazio circostante fino all’appropriazione di questo e al tentativo di farne un luogo sicuro e invalicabile.
Tratto dall’omonimo romanzo di Pit Agarmen, La nuit a dévoré le monde, si rivela un film che parte dal genere solo come spunto per arrivare a una sua variazione spirituale. Così i tetti di Parigi, come quelli della Berlino di Wenders, si popolano di spettri, immaginati o reali, in un finale che è solo un nuovo inizio, nuove simbologie e una nuova alba per i morti viventi.