Troppa grazia
Il cinema di Gianni Zanasi approda nel territorio del fantastico, partendo dallo spunto di un'apparizione mariana per raccontarci con spirito laico e leggerezza di sguardo l'importanza di una scelta morale nell'Italia dell'indifferenza.
Con Troppa grazia - presentato quest'anno al Festival di Cannes come film di chiusura della Quinzaine des Réalisateurs - torna il cinema di Gianni Zanasi e la sua umanità instabile, irrisolta, fragile e bizzarra, sospesa tra i propri fallimenti esistenziali e quelli di un’Italia in mano ad affaristi meschini e loschi imprenditori, un’Italia in cui, come dice il sindaco Paolo (Giuseppe Battiston), è difficile puntare il dito contro qualcuno perché, stando alla legge, tutti bene o male siamo corrotti.
Torna Zanasi e tornano le sue storie sui generis, attraverso cui filtrare le ben note miserie morali del Belpaese, preservando al tempo stesso l’unicità di uno sguardo personale. Uno sguardo che questa volta adotta il registro del fantastico per raccontare la storia di Lucia (Alba Rohrwacher), geometra specializzata in rilevamenti catastali nonché madre single, idealista ma dalla vita caotica, scelta dal sindaco senza scrupoli per un progetto edilizio che potrà giovare alle casse del comune. Lucia scopre che i rilevamenti condotti sul terreno del cantiere segnalano un’imprecisata anomalia, ma viene infine convinta dalla paura di perdere il lavoro a non dire nulla. Un giorno, durante un rilevamento, le appare la Madonna in persona, che prima la invita e poi la costringe (con la forza!) a boicottare i progetti del sindaco, con il proposito di edificare una chiesa sullo stesso luogo.
Con la sua folle sceneggiatura - scritta a otto mani insieme a Federica Pontremoli, Giacomo Ciarrapico e Michele Pellegrini - Zanasi ci ricorda che di fronte al dilagare dell’indifferenza generale prendere posizione è un atto non solo doveroso ma decisivo, che deve necessariamente passare attraverso un momento di rottura di cui purtroppo siamo sempre meno capaci. Santi e madonne (ergo quel poco di bene che rimane della nostra coscienza) non sono qui a pregarci gentilmente ma hanno il compito di prenderci a schiaffi e di tirarci per i capelli finché non li ascoltiamo. Non esiste possibilità di cambiamento senza traumi. Troppa grazia parte così dal mero pretesto del culto mariano per intessere una storia di assoluto laicismo sull’Italia del nostro presente, e parlarci di una spiritualità che non ha nulla di teologico né di dogmatico, la spiritualità di chi riesce a ritrovare se stesso negli altri e nel rapporto con le piccole-grandi cose del mondo. Il film ripone la sue speranze nell’immaginazione salvifica dell’infanzia, in cui si crede ancora ai mostri e alle favole - come facevano un tempo Lucia e l’ex compagno Arturo (Elio Germano) - piuttosto che nella religione come riscatto. Ed è questo il pregio di un’opera che al tempo stesso sfrutta e ribalta, asseconda e rilegge sotto una luce diversa quei presupposti di partenza ancorati al nostro retroterra culturale, con il consueto sguardo leggero ma non per questo disimpegnato.
La fotografia stessa, molto esposta e dai colori saturi, si tinge di una sognante leggerezza da riscoprire come arma di attacco, più che di difesa, contro le brutture del mondo. Peccato invece per il mancato approfondimento del sindaco Paolo, non il solito faccendiere abituato a cadere sempre in piedi bensì un penoso piccolo arrivista non immune dal fallimento, al quale però la sceneggiatura non riesce a fare del tutto onore, lasciandolo troppo sullo sfondo. Troppa grazia, già vincitore a Cannes del premio Label di Europa Cinémas, segna un ritorno sentito e vitale da parte di Zanasi, che riconferma così il proprio piglio autoriale, trovando al tempo stesso nuove declinazioni per il suo cinema.