L'amore molesto

di Mario Martone

Martone adatta il primo romanzo di Elena Ferrante, decostruendo la narrazione in una guerra dei ricordi profondamente calata nella città di Napoli.

L'amore molesto - film martone recensione

Con L'amore molesto del 1995 (di recente tornato in sala in versione restaurata) il regista napoletano Mario Martone potè già dirsi promessa ben mantenuta del cinema italiano contemporaneo. L'opera, presentata in concorso al 48° Festival di Cannes,  valse oltre una lunga serie di nomination e premi i David di Donatello al Miglior regista e alle Miglior attrici protagonista e non protagonista, Anna Bonaiuto (nei panni di Delia, personaggio principale) e Angela Luce (interprete dell'anziana madre Amalia).

Martone traspose per il grande schermo il romanzo omonimo, il primo della misteriosa scrittrice Elena Ferrante (con Martone anche co-sceneggiatrice) della cui successiva produzione nel tempo si sarebbe parlato di "Ferrante fever", quanto a fenomeni editoriali, tant'è risulta quasi impossibile, ad oggi, non menzionare la quadrilogia best seller de L'amica geniale, attualmente portata in Tv dall’egregia regia di Saverio Costanzo.
Il riferimento a ritroso diventa imprescindibile e a tratti lampante, se si evidenzia come già ne L'amore molesto ricorrevano topoi comuni, con buona probabilità fondanti l'immaginario narrativo della Ferrante stessa, e che Martone poté restituire più visionariamente che visivamente in senso stretto, per esaltare nelle soluzioni compositive e formali adottate tutta la carica psicologica e enigmatica volutamente in costante implosione e che un tradizionale genere drammatico avrebbe forse sprecato.

Si tratta in prima battuta di Napoli, città brulicante e affollata nelle strade e nei mezzi pubblici, intasata dal traffico delle auto, accalcata sotto la pioggia, in un ostile fuggi fuggi, in cui tutto e tutti paiono dileguarsi, nascondersi, voler scappare e allo stesso tempo inseguire qualcuno, come sé stessi. Attraverso le traversie intime di una donna e le peripezie della sua famiglia, L'amore molesto affonda il coltello nella piaga del maschilismo imperante, nella miseria nera del dopoguerra e nel tempo a venire, quando essere donna ed essere sensuale e solare per natura poteva essere una condanna e sopruso inflitti alla sola posa dello sguardo altrui.

In questo vagare di luogo in luogo, del tempo e dello spazio, domina dunque la violenza domestica perpetrata sotto gli occhi di tutti tra le rampe delle scale condominiali, in una guerriglia di vicinato che si sussegue senza scampo dall'androne in su, salendo di pianerottolo in pianerottolo, tra le mura di casa, le finestre spalancate e poi a strabiombo nei sotterranei ammuffiti e abbandonati, nella semioscurità dell'infanzia abusata,sepolta, taciuta, deformata. Un ciclone che tutto travolge e travalica. Comune anche l'incipit, in cui sonno e sogno si compenetrano e una telefonata notturna squarcia il cuore della notte col frastuono di un fulmine e il baleno di un lampo, per far luce su un presente fittizio, mentite spoglie del baratro del passato.

Martone sceglie di decostruire la narrazione secondo metafore architettoniche di salita e discesa, fasi alternate di catabasi e anabasi, su e giù negli inferi dell'inconscio, così ad ogni discesa (in ascensore fin in seminterrato; sulle scale mobili in metropolitana) corrisponde un flashback, mentre ad ogni risalita (gli spostamenti in funicolare,  i piani a livelli di un negozio di lingerie) segue unagnizione, quasi sempre un’incertezza, mai una verità definitiva. Che la guerra dei ricordi si giochi tutta nella mente della protagonista Delia, donna riservata e scialba, intenta a ricostruire l'ultima notte di vita della madre Amalia, ritrovata inspiegabilmente nuda e annegata, il regista lo palesa e ostenta attraverso il motivo degli occhiali da vista indossati da Delia sin da bambina, lenti che focalizzano e poi si frantumano, perchè Delia appunto smetta di indagare l'esterno e getti il suo sguardo a capofitto dentro se stessa, nella se stessa rifratta, sè bambina e sè adulta in un gioco di specchi e versioni di fatti, fantasticherie e colpe. Mea culpa è l'espiazione che non può più riparare, ma solo traslare dalle allucinazioni alle illusioni. L'illusione bruciata al fuoco di un falò, una stregoneria che muta la vivacità in morte, che mitizza l'eredità salvifica nel rosso provocante di un abito succinto.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 13/12/2018
Italia1995
Regia: Mario Martone
Durata: 104 minuti

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