Teatro di guerra
La messa in scena di Sette contro Tebe nel teatro di guerra dei Quartieri Spagnoli.
Teatro di guerra è un termine polivalente. Contestualizzante. Definisce un’identità di luogo dove convivono azioni disperate e violente. Genius loci di un conflitto interno ed esterno. In gergo giornalistico, teatro di guerra, è la zona dove si combatte un conflitto armato. Ma il teatro di guerra è anche una zona rossa dentro la quale si attua il conflitto teatrale, tra sperimentazione e classicità; inoltre può essere uno spazio di dialettica feroce, affilata, con sé stessi e con gli altri. Partendo dal tentativo di messa in scena della tragedia greca di Eschilo (Sette contro Tebe) nel teatro di guerra dell’assedio di Sarajevo, Mario Martone, spinge al massimo il livello di identità avanguardistica dei suoi Teatri Uniti. Teatro aperto a ogni sperimentazione artistica, teatro che si ritaglia uno spazio trasversale aperto al linguaggio cinematografico, e che in questa obliquità artistica viene narrato. Fucina di talenti, spazio aperto, comprensivo, fulcro intorno al quale si è mossa l’arte teatrale, cinematografica e narrativa degli anni ‘90 napoletana. Teatro nel quale il proscenio sconfina nella polivalenza artistica e in luoghi sconfinati, in spazi senza platee, in strade, condomini, garage, vicoli. E’ attraverso questa complicità tra teatro tradizionale, qui definito nel personaggio sclerotico e classista di Toni Servillo ed il suo teatro stabile in procinto di realizzare una pièce shakespeariana, e il teatro avanguardistico, povero di mezzi, carico di stenti, ma ricco d’intenti, predisposto alla ricerca della fluidità e disciplina del corpo attoriale, di una povertà grotowskiana e che trova nella sua essenza l’intenzione e il bisogno di esistere, che si configura l’anima del film di Martone.
Mondi paralleli che si uniscono in una simbiotica zona di guerra, parallelismi di tensione, di odio, di povertà e violenza, luoghi agli antipodi geografici, oltre la terra ed oltre l’adriatico, dei cordoni rosso sangue che uniscono due teatri di guerra, Sarajevo e Napoli, ed in particolare, in quest’ultimo caso, i Quartieri Spagnoli e la camorra. Un conflitto che fuoriesce dalla quinta teatrale, che si espande per le strade di quartiere, sul confine dove la vita e la rappresentazione si tramandano le abitudini violente e sanguinarie, dove l’attore è parte di una recitazione oltraggiosa, pericolosa, ma allo stesso tempo etica. Ed è proprio in questa eterna lotta, tra idealismo e materialismo, tra principio e sostanza, che si inserisce Teatro di Guerra di Martone. E in questa dicotomica diatriba che il suo cinema si traduce e che Teatro di Guerra si definisce. Uno schiaffo finale arriva proprio dalle parole di Servillo, che durante la cena conclusiva della prima shakespeariana, sentenzia che alla popolazione di Sarajevo non serve il teatro (l’ideale, la vicinanza, la comprensione, la mistificazione positiva) ma le armi (la distruzione, l’interesse, la sostanza volgare e violenta).
Martone non si tira indietro, non dispone una tesi e antitesi senza una sintesi finale, e attraverso i suoi personaggi produce un teatro di guerra che si consuma nei loro animi, di vinti e vincitori. Prima ancora della riflessione sui grandi eventi storici, ed eccezionali personalità poetiche italiane, dell’Italia Risorgimentale, il cinema di Martone già si posizionava al centro di un conflitto d’intenti tra idealismo e materialismo, diatriba intestina d’identità nazionale, in perenne lotta e in conflitto interno nell’animo di ogni italiano. Come a volerci rammentare che i nostri conflitti nazionali sono scaturiti da una scelta tra l’eroismo, l’idealismo, e la sopravvivenza, egoismo, in un Paese diviso, scissi tra l’interventismo candido e il neutralismo bigio, in un Paese diviso, perennemente diviso, tra scuole di pensiero agli antipodi una dall’altra. “Se si deve affrontare un male, che sia senza vergona”, è questa la massima che passa dalla tragedia di Eschilo alle parole declamate a teatro, ed è questa la motivazione e il balsamo per gli animi eroici dei vinti.