Cena con delitto – Knives Out
Dopo il divisivo "Star Wars – Gli ultimi Jedi", il regista Rian Johnson si cimenta in un giallo ludico che mette alla berlina i vizi della società statunitense.
Il whodunit ai tempi di Donald Trump. Invito a cena con delitto riveduto e corretto nell'era del nazionalismo, delle fake news e dell'immigrazione. È questo il mondo in cui si trovano a vivere, a punzecchiarsi e, all'occorrenza, a pugnalarsi alle spalle i "Dieci piccoli indiani" di Cena con delitto – Knives Out, membri di una famiglia (i Thrombey) arricchitasi coi romanzi gialli del patriarca e ora principali sospettati della misteriosa morte di quest'ultimo.
Parte dalla più classica delle premesse il personale omaggio di Rian Johnson a un genere che pareva avesse fatto ormai il suo tempo e che invece torna dimostrandosi materia viva e malleabile per costruire un meccanismo spettacolare perfetto e, allo stesso tempo, per imbastire una divertita quanto feroce critica all'America di oggi.
Nello svelamento di un caso mano a mano sempre più intricato e cervellotico c'è infatti ben più di un divertissement fine a se stesso, quasi come se i componenti di quella famiglia, con le loro mezze verità e (soprattutto) menzogne, i loro segreti, i loro depistaggi e le loro differenti versioni dei fatti, rappresentino tutti i vizi di un sistema parassitario pronto a divorare se stesso, il sunto di un paese meschino, egoista e narcisista anche e soprattutto quando si professa l'opposto.
Una teoria di personaggi e volti che si condensa e riassume in un cast all star, dove il Male di un'intera Nazione si nasconde dietro un'ipocrisia di facciata e perbenismo (non è un caso che uno dei personaggi peggiori sia proprio l'ex Capitan America Chris Evans), e l'unico argine alla sua avanzata si può trovare, al massimo, in un bizzarro ed elegante detective privato (un Daniel Craig quasi parodia del suo Bond), pronto a svelare, tra omaggi a Poirot e (perché no?) a Colombo, l'inettitudine, la venalità e il cannibalismo delle classi più abbienti.
Dopo il suo discusso, e per certi versi rivoluzionario, penultimo capitolo di Star Wars, Gli ultimi Jedi, Johnson continua la propria personale destrutturazione di generi e immaginari andando, proprio come il suo detective, contro tutto e tutti, trasformando il più classico dei gialli in un rompicapo dove verità e menzogna si incrociano e intrecciano fino allo sfinimento, tra indizi, false piste, flashback rivelatori e colpi di scena, restituendo la radiografia di un paese allo sbando, perso nei suoi vizi e nei suoi peggiori egoismi.
La soluzione (o la salvezza), allora, in questo gioco al massacro che non risparmia nessuno – dall'alt-right ai troll di internet, dai liberal ai nazionalisti – non può che trovarsi, forse, all'esterno, magari riassunta nella figura dell'infermiera ecuadoregna (o era venezuelana?) interpretata da una bravissima Ana de Armas, immigrata dal buon cuore letteralmente incapace di mentire, che conquista il capofamiglia e sovverte uno status quo parassitario e degenerato, pronta a riscriverne regole e dinamiche. A modo suo.