Batman v Superman: Dawn of Justice
Un film terrigno e pesante che aspira al volo ma rimane costretto a terra, soffocato da doveri produttivi e da un’impalcatura narrativa non solo strabordante ma anche sciatta e approssimata.
Nella sua infinita potenza, può Dio essere fonte di un’inesauribile bontà? Qualora lo fosse, come si può giustificare la presenza del male nel mondo, specie in quelle forme così assolute che si sono manifestate nel corso del Novecento?
Fedele al mood cupo e ossessivo che la DC-Warner ha adottato per contrapporsi alla leggerezza pop dei Marvel Studios, Batman v Superman: Dawn of Justice affonda a piene mani in quello che già Sant’Agostino definiva il problema del male. Secondo il filosofo d’Ippona, in un mondo creato dalla volontà del Dio cristiano, e quindi figlio del suo onnipotente amore e conforto, non trova posto il concetto di male, nessuna creazione del divino può portare in sé i germi di un’essenza malvagia. Metafisicamente parlando, il male non esiste.
Ma cosa succede quando chi ha sperimentato il male sulla sua stessa pelle trova davanti a sé una divinità manifesta, aliena sì ma fatta di carne e sangue, e soprattutto mossa da un infinito amore per il mondo che ha imparato a fare suo? Dagli albori della Patristica occidentale alla Metropolis di Snyder/Goyer, la coesistenza di divino e di male continua ad apparire come una contraddizione in termini, un nodo insolubile da cui nasce l’impotenza che trasforma gli uomini buoni in crudeli. Batman v Superman recupera la lezione marvelliana sulla responsabilità del potere e la declina all’interno del conflitto tra uomo e Dio, una trincea teologica che vede da una parte un nuovo salvatore e dall’altra Lex Luthor e Bruce Wayne, epitomi di un’umanità incapace di accettarne la venuta. Già in L’uomo d’acciaio la nuova incarnazione di Superman manifestava insistiti paralleli con la figura di Cristo, adesso la sovrapposizione si fa completa, con tanto di chiamata al martirio e lancia di Longino a mietere il fianco del Messia. L’intento sarebbe dei migliori, portare la componente dark dell’universo cinematografico DC sulla strada più imponente e ambiziosa, un incontro tra la riflessione sul giustizialismo avviata da Nolan e il confronto con il divino ispirato da Superman. Tuttavia il risultato fallisce oltre ogni aspettativa, il film crolla nel vuoto schiacciato dal suo stesso peso, vittima di una confusa schizofrenia d’intenti e di un dilettantismo tecnico inspiegabile per un film blockbuster di questa portata.
L’uomo d’acciaio era un film che cercava di spingere l’immagine al limite ultimo della visione, nel tentativo di catturare l’essenza di Superman (la luce e quindi il movimento) all’interno di un dinamismo di forme volto all’immediatezza più estrema. Quella restituita da Snyder era un’immagine radicale, capace di librarsi oltre i vuoti di sceneggiatura e le metafore più urlate e banali.
Batman v Superman è l’esatto contrario, un film terrigno e pesante che aspira al volo ma rimane costretto a terra, soffocato da doveri produttivi e da un’impalcatura narrativa non solo strabordante ma anche incredibilmente sciatta e approssimata. In quest’overdose di linee narrative il cinema di Snyder appare costretto, intrappolato mentre tutto attorno a lui domina invece la confusione, un senso di totale mancanza di controllo in un film che per buona parte della sua durata appare come un lungo, maldestro trailer, per come cerca costantemente di mettere a confronto una scena dopo l’altra senza donare ad esse alcun respiro, e soprattutto senza che alcuna sequenza possa scorrere libera di introdurre qualcosa, personaggi o dinamiche narrative che siano. Ottimo l’inizio in medias res, rilettura dello scontro di Metropolis visto dal basso, dalla prospettiva orizzontale di un furioso e impotente Bruce Wayne, ma da lì in poi è una corsa costante, un montaggio alternato di un’ora e mezza almeno in cui si punta solamente all’accumulo e alla stratificazione di materiale senza però che da tutte queste scene mal collegate tra loro emerga un racconto coerente e coeso dei personaggi. Grandi assenti di Batman v Superman sono proprio loro, gestiti come burattini e vittime di azioni la cui motivazione non viene mai costruita ma soltanto enunciata, o addirittura data per scontata (vedi il macchiettistico e piatto Lex Luthor). Tutto accade perché sappiamo che così deve accadere, perché è evidente che Luthor sia pazzo e Batman perso nella sua furia allucinata, mentre Superman viene tenuto fuori dal quadro per aumentare la sua estraneità ma nei fatti continua a non esistere come personaggio a sé stante.
All’interno di un testo così confuso e incerto, che raccoglie molti spunti interessanti senza riuscire a svilupparne alcuno, restano di buono per il futuro della serie solo le interpretazioni di Ben Affleck e Gal Gadot, grazie al cui carisma si impongono con forza i nuovi Batman e Wonder Woman. Soprattutto il cavaliere oscuro, all’ennesima reinvenzione, arriva con forza allo spettatore: rozzo e violento nei suoi rubacchiati echi milleriani, è un uomo che cerca di essere un Dio e deve per questo confrontarsi con la propria sanità mentale, drogata di furia, marcata dall’impotenza, persa in un mondo di allucinazioni demoniache.