I fantasmi d'Ismael
Come il suo protagonista, Desplechin abbandona la prospettiva lineare, un principio ordinatore, mescolando vita e sogno, realtà e rappresentazione nel dare forma ai propri fantasmi.
Film di apertura della scorsa edizione del Festival di Cannes, I fantasmi d’Ismael si pone nel continuum dell’opera cinematografica di Arnaud Desplechin, ampliando, riconfigurando e riproponendo tematiche, snodi e variazioni di un unico grande film in perpetuo, ed eterno, divenire. Tra arte e politica, melodramma e spy-story, con riferimenti letterari e cinematografici sparsi su molteplici linee narrative scandite da elissi e flashback, il film mescola una serie di elementi in una danza macabra ed erotica, un caos controllato all’interno del quale lo spettatore si lascia soprassedere perdendo la propria guida. Un cinema frammentario fatto di identità ed entità frammentarie. «Chi è Dedalus?» si chiede un gruppo di persone del Ministero degli Interni seduto intorno ad un tavolo. Un personaggio enigmatico, misterioso la cui specialità è quella di sparire, non lasciare tracce, un angelo o una spia, come dicono le voci, venuto dal nulla, senza diploma, con una faccia improbabile, ma con un punteggio altissimo totalizzato nel concorso, troppo alto forse per essere vero.
Un noto regista francese, Ismael Vullard (Mathieu Amalric), sta cercando di mettere in scena i propri appunti, suggestioni, allucinazioni e memorie dell’infanzia, in un lungometraggio che ruota intorno alla figura del fratello, ambasciatore/spia (Louis Garrel), quando all’improvviso la moglie Carlotta (Marion Cotillard), scomparsa da vent’anni e di cui è stato firmato il certificato di morte, ritorna dall’aldilà per riconquistarlo. Nella casa sul mare, fonte di ispirazione e nido di amore insieme all’attuale compagna Sylvia (Charlotte Gainsbourg), astrofisica che mira le stelle ma che cerca anche stabilità e razionalità all’interno del rapporto, le certezze del protagonista cominciano a vacillare.
Carlotta sembra essere una simbolica manifestazione di un sentimento, di un ricordo, il primo amore che prende vita da un ritratto che Ismael ancora conserva. Il quadro, ennesima rappresentazione atta a cristallizzare quella figura, quel volto nel tempo, richiama il personaggio di Carlotta Valdés, la donna dipinta nel ritratto di La donna che visse due volte, una bellezza misteriosa che provocherà le ossessioni del protagonista. Le visioni, le allucinazioni, i fantasmi del passato, del proprio vissuto, che ritornano e sembrano perseguitare Ismael ne stimolano anche il processo creativo, costruendone l’immaginario, e suggerendo spunti per lo svolgersi del film in preparazione. Mettendo di fronte uno all’altro l’Annunciazione del Beato Angelico e il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck, Ismael mostra al suo produttore due modalità di rappresentazione completamente diverse nella pittura Rinascimentale. Se da una parte la scuola italiana sposa la scelta dell’unico punto di fuga, le ombre definite provenienti da una sola fonte di luce, i rapporti e le geometrie strutturate e calibrate ordinatamente, atte a fornire una visione chiara e completa, dall’altra parte l’opera fiamminga attraverso la molteplicità dei punti di fuga rifiuta la prospettiva lineare e centrica, restituendo una visione del mondo illusoria, frammentaria, specchi che raddoppiano lo spazio, la luce che moltiplica i riflessi e la linea dell’orizzonte alta che deforma l’ambiente. Per dare forma al proprio delirio ossessivo, ai propri fantasmi, Ismael segue una fitta ragnatela di suggestioni, di desideri, di ispirazioni, di pulsioni e follie, così come fa Desplechin, che segue la stessa linea figurativa, tra realtà e finzione, vita e sogno, segni e rispecchiamenti abbandonando un principio ordinatore.